Installation view della mostra di Lorenzo Vitturi da Tosetti Value - courtesy @Tosetti Value |
Ultimamente, chissà perché, su questo
blog mi trovo spesso e volentieri a parlare di Africa. Può trattarsi di artisti
africani, o di artisti che hanno l’Africa nel loro progetto artistico. Ma
l’Africa torna sempre.
È il caso della mostra di Michael Armitage alla FondazioneSandretto e della personale di Zanele Muholi da Tosetti Value. E proprio la
nuova mostra allestita ancora una volta presso le sale di Tosetti Value, mi
riporta ancora a parlare di Africa.
La mostra, curata da Walter Guadagnini di Camera per il progetto Prospettive, curato nel suo complesso da Giulia Tosetti, è dedicata al lavoro di Lorenzo Vitturi.
E si parla di Africa, naturalmente.
Classe 1980, veneziano residente a Londra (due luoghi,
guarda un po’, che il viaggio ce l’hanno nel sangue), Lorenzo Vitturi ha al suo
attivo una serie di mostre in location molto prestigiose, dal MaXXI di Roma
fino al Centre Georges Pompidou di Parigi, passando per la Triennale di Milano
e lo Shangai Art Museum.
Vitturi è fotografo e scultore e questo dà al suo lavoro un
tono molto particolare. Ciò che è in gioco, nella composizione delle immagini,
è, infatti, in gran parte la concezione dello spazio. Persino il colore, vivacissimo protagonista del
progetto, pare rivestire innanzitutto una funzione spaziale, e dinamica al contempo.
Il progetto, sviluppato in un omonimo libro fotografico
pubblicato da SPBH Editions nel 2017, s’intitola Money must be made e ha per tema appunto, l’Africa. In particolare, il soggetto è il mercato di Balogun, a Lagos, in Nigeria.
Il Balogun Market è un caso sociale molto particolare, che
ha resistito ai tentativi di gentrificazione imposti dall'alto, per dare luogo
a un altro tipo di crescita. È un mercato specializzato in stoffe
coloratissime, che si sviluppa in maniera caotica e labirintica lungo diverse
strade della città di Lagos.
Installation view della mostra di Lorenzo Vitturi da Tosetti Value - courtesy @Tosetti Value |
Vitturi aveva già lavorato sul tema del mercato, ad esempio su con un lavoro sul Ridley Road Market di Dalston, nell’East London per un photo-book, qualche anno fa. Dal punto di vista dell'artista, e non solo, il mercato rappresenta infatti il luogo ideale per
conoscere la vita di una città, le dinamiche sociali che la abitano e che
costituiscono il più intimo tessuto.
Ma, soprattutto, il mercato è location paradossale: se da un lato la parola
indica il luogo dello scambio, della compravendita e quindi del consumo,
d’altro canto, nella metropoli contemporanea, il mercato all’aperto si
contrappone ad altri nonluoghi, analoghi ma profondamente diversi nello spirito, quali
ipermercati o megastore. È quasi banale dire che la differenza tra il mercato e il megastore, fa
leva proprio su quella naturalezza e spontaneità delle relazioni, sul rapporto,
la mescolanza con e tra le diverse classi sociali.
L’apparente confusione,
però, attraverso l’occhio dell’artista, non dà più luogo al mero caos, ma si fa
creativa, dinamica, generatrice di energia.
Così, nelle opere di Vitturi, alle immagini di stoffe, forme
e figure di oggetti in vendita sulle bancarelle di Balogun, si contrappongono
altre figure, del tutto diverse. Sono vecchi computer in disuso, location di
aziende abbandonate, dove gli oggetti tipici dell’arredamento da ufficio, memoria di un tentativo mal riuscito di gentrificazione, sono ricoperti di polvere. Che poi polvere non è, ma è sabbia del Sahara.
Installation view della mostra di Lorenzo Vitturi da Tosetti Value - courtesy @Tosetti Value |
Che cosa vuol dire Africa? L’Africa ha a che fare con il
fenomeno delle migrazioni, che interessa il nostro intero continente ormai in
modo quasi strutturale (altro che emergenza). Africa è ritmo, danza, ma anche
povertà, guerra e sfruttamento di risorse (da parte nostra nei loro confronti).
Africa è mal d’Africa, il viaggio, l'avventura, l’idea di una bellezza profondamente legata alla
natura. Ma africano è anche il ciclone di aria calda, quello torrido e
soffocante, che sempre più spesso viene dal Sahara a rendere roventi le nostre
estati.
Hillman e Jung direbbero che dal sud del mondo qualcosa
chiede la parola, ci vuole parlare, non si lascia fermare da nulla e viene su,
dritto dal deserto fino alle nostre case dove anche l’aria è condizionata.
Leibniz, probabilmente, parlerebbe di armonia prestabilita, per cui tutte le
cose, senza mettersi d’accordo prima né avere tra loro alcun legame causale,
chissà perché a un certo punto si corrispondono…
Il deserto cresce, diceva invece Nietzsche in Così parlò Zarathustra. Quasi che la
natura venga prima o poi a riprendersi il proprio spazio.