La falsa beatitudine del fotografo ignorante



Cranio di Piltdown  - immagine dal web


Va da sé: chi scatta fotografie, a differenza di chi ricorre ad altri mezzi espressivi, deve sapere utilizzare una macchina fotografica. Questo però, ovviamente, non basta. Occorre anche essere in saldo possesso di tutta una serie di competenze, conoscere metodi e trucchi per rendere in uno scatto, in un’immagine, qualcosa che sta dentro la propria testa.

Ok.

E qui viene il dunque. Sapere queste cose, sarà sufficiente?

Realizzare un’immagine corretta (e non sbagliata!) secondo gli standard predominanti, è tutto quello che serve?

Beh, sì e no.

Mi spiego meglio.

Si è fatta strada, ahimè, ai giorni nostri, l’idea che essere ignoranti sia qualcosa di simpatico. L’ignorante, come un innocuo goliardico, non fa paura e non ci fa mai sentire da meno. Perciò stiamo bene in sua compagnia. Non cresciamo mai, magari ci porta alla rovina (o, peggio ancora, alla banalità!), ma in compenso ci fa sentire molto fighi e "nel giusto" proprio perché "capre", come direbbe qualcuno. E questo è tutto.

ph. Elliott Erwitt - immagine dal web


Chi sa qualcosa di più, invece, dà fastidio. Perché? Io ho una mia teoria, a questo proposito, ma prima c’è qualcosa che vorrei dire.

Mi piace parlare, scrivere e insegnare di filosofia e fotografia. O di fotografia e filosofia, alternativamente, perché spostando gli addendi il risultato, nella sostanza, non cambia.

Trovo che la fotografia, con il suo sempre problematico rapporto con la realtà, la verità, l’identità, lo spazio e il tempo, si presti meravigliosamente bene a porsi in dialogo con la filosofia, perché queste cose, la realtà, la verità, l’identità, lo spazio e il tempo, sono interrogativi prettamente filosofici.
Ma ancora di più la filosofia ha molto da donare a chi ama fotografare. Perché potrà anche non piacere, ma di una fotografia che sia soltanto e semplicemente ben fatta non importa a nessuno. Importa invece che cosa ci metti dentro, ad un'immagine (fotografica e non). Contano l’anima, il cuore, ed il pensiero.

Attenzione però: mentre se seguiamo semplicemente “il cuore” rischiamo di fare immagini stucchevoli o da cartolina, o peggio, magari, immagini che ci piacciono semplicemente perché le abbiamo già viste da qualche parte, il pensiero (la filosofia) porta con sé dei bei regali.

Non fornisce risposte, apre domande.

Non dona certezze, anzi, mette in dubbio anche quelle che credevamo di avere.
Ma proprio così facendo, permette di porsi nella dimensione della ricerca, dell’interrogare, dell’aprire mondi e del cercare strade. Diverse. Nuove.

Non parlo certo di filosofia a livello di alti studi. Non pretendo tanto.

Però bisogna sapere una cosa.

Anche a livello divulgativo, o al principio, chi facesse un corso di filosofia pensando di tornare a casa con qualche risposta, una formuletta da applicare lì per lì, sempre pronta all'uso, resterà inevitabilmente - e fortunatamente! - deluso.

Ciò che si porterà a casa, invece, saranno molte, nuove domande. E l'idea che le cose sono molto più complicate di quanto non appaia a prima vista.
Perché vedremo oltre l'apparenza, la complessità.

L’obiettivo, mi si permetta il gioco di parole, è proprio dubitare, meglio se di sé, di certo di quello che si è fatto fino ad ora, mettersi in discussione, sperimentare.

Fa paura? Forse, ma è come un viaggio, una bellissima avventura, che è davvero un peccato non compiere.

Fare questo, ci renderà tutti artisti famosi? No, è chiaro, non tutti. Pochissimi, anzi, forse uno o due su mille.

Ma il punto è che non è questo lo scopo. Lo scopo è trovare una nostra voce, fare qualcosa di interessante innanzitutto per noi stessi. 

Eccoci dunque alla domanda di prima.

L’ignorante di sé fiero, in fotografia come altrove, è davvero un innocuo simpaticone? O è solo un ciuchino di Pinocchio, destinato alla mediocrità di chi non farà a mai nulla di davvero interessante?
A voi la risposta.