Ernst Bloch e l’Utopia concreta




Rêve diurne, station debout & Utopie concrète. Ernst Bloch en dialogue

Ernst Bloch, Lignes èditions, Paris 2016


Questo libro riporta una lunga intervista fatta ad un Ernst Bloch già ottatanovenne da José Marchand nel 1974, tre anni prima della morte del filosofo.

Si tratta di un testo scorrevole alla lettura, in cui Bloch racconta la sua vita e il suo pensiero mettendo in luce una sostanziale corrispondenza dell’una con l’altro.

Bloch racconta come la genesi del pensiero sull’utopia e la speranza abbia preso le mosse dagli studi su Hegel e Schelling, per poi aprirsi all’incontro con Marx e Engels.

Rapsodica e complessa, la scrittura di Bloch, come sa bene chi frequenta i suoi libri, non è sempre facile da decifrare. Questo testo offre, perciò, l’occasione di srotolare il fil rouge che attraversa la sua opera con relativa linearità: è quindi un complemento interessante per comprendere il pensiero di Bloch.

I temi affrontati sono via via tutti quelli che l’opera di Bloch ha intrapreso fin dalle sue prime opere per giungere a quell’ “inventario di immagini desiderio e forme di coscienza anticipante” (cit.) che è Il principio speranza.

Due sono, forse, gli aspetti che più di altri vengono in luce: il primo è il modo in cui i temi dell’utopia concreta e del sogno diurno, dell’immaginazione anticipatrice e della potenza, intesa insieme come possibilità e capacità, appunto potenziale, si svolgano inseparabilmente alla nozione di prassi. Il ponte tra immaginario e realtà hic et nunc passa per la dotta spes, la speranza attiva e che si vuole fare produttiva.

Il secondo aspetto, a conclusione del lungo dialogo con Marchand, è il paragone con il pessimismo di Schopenhauer, che Bloch vede addirittura come la premessa indispensabile di quell’ottimismo militante di cui si parla già ne Lo spirito dell'utopia


I testi di Bloch sono in parte datati, ma per altro verso contengono delle autentiche perle da riflettere oggi con rinnovato impegno e profondità. Commentando il suo Experimentum Mundi (1975), per esempio, Bloch dice una frase che dice molto a noi, oggi, proprio in questi giorni. Parla della difficoltà a decifrare il senso del momento presente e della necessità di interpretare il processo storico, leggerlo, vederlo in atto. È l’obiettivo aperto in fondo al processo storico che viviamo a dare senso all’intero percorso, eppure questo obiettivo è nelle nostre mani. Siamo noi a dare senso alla storia, quindi, eppure non siamo soli: la prospettiva messianica tiene in sè la profondità tanto del senso, quanto del percorso, e dona la speranza. Traduco la frase qui sotto (quasi) integralmente.


“Il mondo resta ancora un enigma e lo è anche per se stesso: è questa la ragione per la quale c’è una storia mondiale e un processo mondiale (…) la vera genesi non è al principio, ma alla fine.

Essa (la genesi del mondo ndr) proviene dalle domande, dell’oscurità del momento vissuto che noi conosciamo tutti, che noi non vediamo nella prossimità e che ci rende la prossimità così difficile. È ciò che viene espresso dal proverbio “sotto il faro non c’è luce” (…). Ovunque c’è questa prossimità, questo oscuro che non è ancora dichiarato e che non può oggettivarsi, se non in maniera insufficiente. (…) da lì del processo del mondo, il suo supplizio e la sua qualità, la sua dialettica dell’incompletezza interminabile; di là ancora la dialettica del processo del mondo stesso, con noi, gli umani, in prima linea e con la memoria (souvenance) di qualcosa di incompiuto, di un obiettivo aperto, in stato di latenza.”