Le fragole di Chardin, tra Diderot, Jankélévicth e Debussy


Jean-Baptiste Siméon Chardin
 (1699-1779)
Il cestino di fragole di bosco, 1761
(Immagine tratta dal comunicato stampa dell’evento)



Il 23 marzo 2022 sarà battuto all’asta a Parigi, per Artcurial, il capolavoro di Chardin Il cestino di fragole di bosco. L’opera fu esposta per la prima volta al Salon del 1761 ed è oggi stimata intorno ai 12-15 milioni di euro.


Normalmente mi occupo di arte contemporanea, ma questo quadro mi ha colpita a prima vista per l’ordine geometrico del soggetto. Sono le piccole cose quotidiane che diventano straordinarie. Le fragole poste a forma di cono hanno un che di metafisico, fanno venire in mente le nature morte di Morandi, ma in un’epoca storica completamente diversa. Il fatto che siano fragole, poi, rende il tutto ancora più intimo, dolce, tanto che viene in mente una famosa e molto romantica canzone di Finardi. Ma bando ai riferimenti pop, facciamo un po’ di storia,


Jean Baptiste Siméon Chardin (1699-1779) fu il mago della natura morta. All’epoca, il suo stile fece scalpore per l’uso di una tecnica pittorica innovativa. Chardin più che oggetti disegna, infatti, volumi nello spazio, e la loro interazione. Un po’ come faceva Antonioni nei suoi film, si licet, è attento soprattutto all’equilibrio complessivo, alle tonalità cromatiche, più che alla resa del dettaglio dei soggetti. La sua arte ispirò Monet, Renoir e, appunto, Morandi, anticipandone le atmosfere silenziose, le visioni d’insieme, soprattutto l’attenzione alle piccole cose quotidiane organizzate secondo una disarmante semplicità geometrica, e così piene di senso. 


Tra gli estimatori di Chardin ci fu il filosofo Denis Diderot, affascinato dalle atmosfere tranquille dei suoi quadri, che evocano una sorta di silenzio. E qui ci sta una riflessione sul filosofo che legge le opere d’arte.

Il critico d’arte per Diderot è un mediatore. L’arte è democratica, perché parla a tutti e differisce dalla scienza per il suo oggetto (che è techne e episteme). Perciò l’autore dell’enciclopedia è affascinato da Chardin e dalla sua semplicità straordinaria. Lo definisce naïf, intendendo, però, con questo termine un je-ne-sais-quoi di fresco, sincero, pieno di palpitante energia.

Come potremmo spiegarlo meglio?


Provo. Je-ne-sais-quoi-presque-rien: è ciò che Jankélévitch vedeva nella musica di Debussy, quando scriveva che nella sua musica “gli oggetti privilegiati del mistero sono (…) le cose più leggere e incantevoli: profumi nell'aria della sera, colorazioni fugaci, miraggi volatili e inconsistenti”. Ecco, questa stessa frase si può applicare alle opere di Chardin.


In esse si fa quasi tangibile una sottile presenza, silenziosa, impalpabile, ma palpitante, che rende preziosa ogni piccola cosa. Il pittore allude così ad un ordine nelle cose e lo rende percepibile, dileguando il caos. Ma, attenzione: è questo un tipo di ordine che non ha nulla di rigido, anzi, che a volte è solo apparente, e che sempre racchiude in sé una vivace, elegante e sincera energia creativa.