Friedrich e Givone tra l’infinito e il nulla



Sergio Givone, Sull’infinito, ed. Il Mulino, Bologna 2018 per la collana Icone, pensare per immagini, diretta da Massimo Cacciari



Che cos’è? Questo libro fa parte di una collana molto interessante, in cui alcuni filosofi o studiosi di filosofia sono invitati a commentare un’opera d’arte di qualsiasi stile o epoca storica. Sergio Givone si è soffermato su Il Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich, celebre olio su tela del 1818 oggi conservato alla Kunsthalle di Amburgo.

Credo che se si facesse un sondaggio, e considerando la produzione artistica internazionale di tutti i secoli, si scoprirebbe che questa è la tela più amata in assoluto dai filosofi. Basta guardare le locandine dei convegni filosofici, non necessariamente sull’arte, per accorgersi che almeno un buon quaranta per cento ha per sfondo l’immagine del viandante di Friedrich. Perché i filosofi si innamorino tanto di questa figura è facile da indovinare: l’immagine dell’uomo sporto su un paesaggio indistinto, di spalle, nell’atteggiamento meditabondo di colui che si interroga sull’infinita vanità del tutto, forse cercando di rintracciare un ordine nel caos, va a braccetto con quella che ciascun filosofo o aspirante tale ha o vorrebbe avere di sé. Givone, però, fa della tela di Friedrich un’occasione per indagare magistralmente un tema a lui caro: quello dell’infinito.


Perché mi è piaciuto? La cosa più bella, a mio modesto parere, di tutto il libro è il modo elegante con cui Givone legge Friedrich. Più che interpretare l’immagine, Givone se ne lascia interrogare: da ottimo conoscitore dell’arte, si lascia sollecitare dall’osservazione del quadro, sviluppando poi domande e speculazioni di carattere filosofico. L’opera non è mai soverchiata dal pensiero, né accade il contrario, e questo è un enorme pregio. 

Questo lasciarsi interrogare, sollecitare dall’immagine, ponendosi con essa in dialogo fecondo, è già anche una scelta teorica, un modo di guardare all’opera e forse persino di stare al mondo. 


Perché è da leggere? Per la sua capacità di scavare nell’opera e nel contempo di farne il punto di partenza di una riflessione di carattere filosofico in modo serio.


Obiezioni: Il viandante si sporge sull’infinito, e fin qui niente da dire. Ma sicuro che infinito e nulla coincidono? Chi lo dice? In questo libro, alla fine, ovunque riecheggia la riflessione che fu di Heidegger sul nulla, tema di cui per altro Givone si è anche altrove ampiamente occupato. Sarà che io sono in fase di remissione dalla filosofia di Heidegger, non so, ma mi sono venute in mente due citazioni irriverenti, che mi permetto di fare perché può darsi che servano a qualcosa. 


La prima è una canzoncina scritta quand'era bambina da Frida Bollani, la giovane figlia di Stefano Bollani e Petra Magoni, che dice: “nulla, non cercavo nulla, non ho trovato nulla, nulla nulla nulla” e via così… Beh, chi può darle torto? Se non si cerca nulla, non si trova (che) nulla, è cosa sperimentabile… Insomma, ironicamente, mi chiedo se in questo modo di pensare non ci sia una specie di trappola, un incantamento che costringe chi lo segue a girare in tondo, sempre sullo stesso pensiero, senza mai dialettizzare. 


Può darsi sia così? Non so, ma la seconda citazione irriverente che mi è venuta in mente è quel detto milanese che dice che (immaginatelo letto con la voce di Giovanni Storti o Giacomo Poretti): piuttosto che niente, è meglio piuttosto… 


Ma Friedrich che cosa ci dice a proposito di queste cose? Beh, certo il viandante s’interroga davanti al mare di nebbia, e noi davanti al viandante. Anzi, per la precisione, noi non c’interroghiamo davanti al viandante, ma dietro di lui. Egli, infatti, è di spalle, dunque si sovrappone al punto di fuga prospettico, nascondendolo ai nostri occhi. 

Proprio per la posizione che Friedrich ha assegnato al viandante, noi che guardiamo il quadro e siamo lì, dietro a lui, siamo, ci sentiamo, (come) lui. Quello che il viandante ha davanti agli occhi non si vede: solo all’orizzonte ci sono delle cime montuose, forse un ermo colle (ok, è un po’ alto per essere un colle, ma va beh, così viene la citazione).

Ma… e se quella porzione di spazio forse infinito, certo caotico, vago e indistinto, che il viandante guarda, su cui s’interroga, a cui l’immagine allude, non fosse fuori, ma dentro di lui? D'accordo. Qui mi fermo, perché questa è un’altra storia e una lettura mia, non presente in questo libro. Ma, per dire, le opere d’arte grandi sono così, potremmo interrogarle e tirarne fuori cose… all’infinito. 


Chi è l’autore? Sergio Givone è Professore di Estetica all’Università di Firenze e filosofo di pregio. I suoi temi sono da sempre l’estetica, il tragico e, appunto, il nulla. Una volta insegnava all’Università di Torino, e teneva delle lezioni splendide che ho avuto la fortuna di seguire. Un suo libro celebre s’intitolava Disincanto del mondo e pensiero tragico. Misteriosamente, non l’ho più trovato in commercio, ed è un peccato. Spero che lo rieditino presto.