Il gioco del filosofo. Breve lettura di un piccolo classico di Eugen Fink





Nei film americani ambientati in un college, da Grease in poi, c'è sempre un personaggio che si chiama Eugene. Di solito è il nerd un po' sfigato, ma bonaccione, il cui personaggio è volto a strappare qualche sorriso.


Eddie Dezeen, lo Eugene di Grease
(immagine dal web)


Ecco, tutte le volte che penso a Eugen Fink, mi viene da chiamarlo Eugene, e lo immagino con gli occhiali e un sorriso buffo. Ma niente di più sbagliato. Ok, Eugen Fink era un filosofo tedesco, allievo di Husserl, contemporaneo di Heidegger, studioso di Nietzsche. In quanto filosofo dalla mente arguta, se vogliamo seguire i cliché, in effetti potremmo anche immaginarlo pallidino, con la gobba e, sì, pure gli occhiali. Ma non è questo il punto.

Eugen Fink ha scritto libri memorabili. Tra questi, il breve ma intenso saggio tradotto in italiano con il titolo L'Oasi del Gioco.


Eugene Fink, quello vero!
immagine dal web


Che cos'è il gioco? Intanto c'è da dire che Fink parla del gioco nel senso del giocare, del divertirsi inventando storie e fantasie tipico dei bambini, oppure anche nel senso dello sport, non certo nel senso del gioco d'azzardo o di altri aspetti patologici del gioco.

Nel gioco Fink individua un modo di darsi dell'essere particolare. Il gioco è per lui un vero e proprio stato di grazia, nel quale possiamo sospendere tutto ciò che normalmente ci angustia (nel senso proprio dell'Angst, angoscia in tedesco).
Nel gioco noi facciamo finta di essere qualcos'altro, qualcun altro. Gli oggetti che usiamo per giocare, da bambini, ma anche da adulti, acquisiscono una qualità che Fink non esita a definire magica. Pur continuando ad essere quello che sono (non siamo mica matti, lo sappiamo bene che questa cannuccia non è una spada con cui liberare il principe dal drago! ;) ) diventano però anche qualcos'altro.

Così, grazie al gioco, per un attimo possiamo liberarci del nostro io, di quello che siamo quotidianamente, con tutti i problemi e le difficoltà, compreso il passato e la nostra storia. Possiamo diventare altro, altri, qualsiasi cosa. E poi possiamo anche tornare indietro, rinfrancati e più leggeri, come se nulla fosse accaduto... Pensate che meraviglia!


Eugen Fink con Edmund Husserl (1934?)
immagine dal web


Giocare è tornare come bambini, come da consiglio biblico, ma istintivamente intuiamo che il gioco ha a che fare anche con l'arte. Già in inglese e in tedesco il verbo giocare (play, spielen) è lo stesso che si usa per recitare o suonare uno strumento, ma non si tratta solo di questo.

La sospensione del tempo e delle cose prodotta dal gioco, nel suo essere rigenerativa e salvifica, ricorda il sentimento che accompagna l'esperienza dell'opera d'arte, con la sua capacità di mettere per un momento il reale tra parentesi, per farci conoscere altro e per farci poi ritornare al mondo di tutti i giorni inevitabilmente cambiati (speriamo in meglio!).

E tutto questo accade con leggerezza e semplicità, sempre con il sentimento di chi tira un respiro di sollievo, e proprio mentre ci appassioniamo profondamente a ciò che stiamo facendo. Ecco che, allora, giocare ci permette di esplorare delle qualità dell'essere e di noi stessi, di cui forse non sospettavamo neppure l'esistenza. 




Per chi vuole leggere il libro, questi sono i dati. Su Amazon si trova facilmente.

Eugen Fink, L'Oasi del gioco, Raffaello Cortina editore, Milano 2008
A cura di Anna Calligaris con una prefazione di Pier Aldo Rovatti