Laura Pugno, L'invisibilità dell'inverno, 2019,
particolare della mostra, courtesy of Alberto Peola Arte
Contemporanea
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C’è una vignetta dei Peanuts favolosa, a proposito della
neve. Si vede Snoopy, sdraiato come di
consueto sulla sua cuccia/casetta, interamente ricoperto di un soffice manto
bianco. «Questa notte è nevicato» dice «Non riesco a vedere niente. Di colpo
sono isolato dal mondo e da tutti i suoi problemi». Dopo c'è una vignetta muta,
come un attimo di silenzio, come se ci pensasse un po’ su. Alla fine, con la proverbiale
sagacia, aggiunge: «Un applauso per la neve!»
La vignetta è carina e citarla qui è provocatorio. Ma il
senso è tutt'altro che superficiale. È vero che la neve porta con sé un
sentimento di pace, di sospensione, di improvviso e salutare silenzio, di calma
poesia. E il fatto che ogni fiocco di neve sia così bello, perfetto nei suoi
frattali, e anche così delicato, effimero, rende tutto ancora più affascinante.
Tutto questo per dire che c’è una poesia dell’inverno e
Laura Pugno vuole raccontarla, anche in quei piccoli dettagli che la memoria
non può trattenere, in quelle piccole cose invisibili, impercettibili e sottili,
che normalmente non lasciano traccia.
Laura Pugno, L'invisibilità dell'inverno, 2019,
particolare della mostra, courtesy of Alberto Peola Arte Contemporanea
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Oggi tutti noi pensiamo ai fiocchi di neve nei loro ordinati
e armoniosi frattali. Pochi sanno che dobbiamo questa consapevolezza a un
signore, tale Wilson “Snowflake” Bentley, che nel XIX secolo per primo si prese
la briga di fare con la neve la stessa cosa che fece Blossfeldt – quello citato
da Benjamin ne La piccola storia della fotografia (1931) - con i fiori e le piante.
Wilson si mise ad analizzare i fiocchi di neve, a catalogarli tutti, per
scorgerne le nascoste, delicatissime armonie. Così come Blossfeldt catalogava vegetali
scoprendo fino a che punto somigliassero a decori liberty, Bentley coglieva
figure bellissime e tanto regolari quanto destinate a scomparire prestissimo,
sciolte dal calore del sole e forse anche del suo fiato meravigliato, come antichi
mandala.
Laura Pugno è affascinata da tutte queste cose e così, in mostra
da Peola ci sono sculture che sono calchi di neve e fiocchi; ci sono quadri che
a prima vista sembrano semplici dipinti astratti, e invece della neve sono tracce
e impronte. Infine, ci sono stampe usate come slitte, sempre sulla neve, per
raccogliere il ricordo, fissare l’immagine di ciò che non resta.
Laura Pugno, L'invisibilità dell'inverno, 2019,
particolare della mostra, courtesy of Alberto Peola Arte Contemporanea
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Non può non venire in mente lo studio sulle impronte di
Didi-Huberman[1].
Come Didi-Huberman ci insegna, l’impronta ha a che fare con il tempo. L’impronta
rimanda a qualcosa che non c’è, e però è nello stesso tempo la prova
inconfutabile della sua presenza. Solo che non è una presenza attuale, ma una
presenza di prima, di un prima che non c’è più. Strana dialettica.
Laura Pugno, L'invisibilità dell'inverno, 2019,
particolare della mostra, courtesy of Alberto Peola Arte Contemporanea
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Ma è possibile avere una traccia di ciò che è effimero e
sfuggente per natura? Didi-Huberman parla di infrasottile, intendendo la
presenza evocata da un’assenza, l’impronta.
Laura Pugno parte da qualcosa di quasi invisibile, certamente
imponderabile, per giungere a un calco, a una materia.
Così c’è un prima e un dopo. C’è la neve transitoria e sfuggente,
e poi c’è il suo calco, la materia che rimane.
Viene in mente anche una possibile lettura emozionale. Come
quando accadono quegli incontri fuggevoli, piccoli eventi e piccole cose che però
lasciano tracce dentro di noi, e, come le rose che Gozzano non coglieva, ci
cambiano l’anima senza far rumore.
info mostra su albertopeola.com
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