Autoritratto
Barbarano Romano 1978-79
Stampa Vintage
(Collezione Privata)"@courtesy Mario Cresci
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In occasione della rassegna Fo.To, al Centro Phos si è
inaugurata una mostra dedicata Mario Cresci.
Cresci è uno di quei maestri la cui ricerca in ambito
fotografico ha tutte le caratteristiche di una profonda indagine culturale e
intellettuale. La sua è arte visiva, che si avvantaggia del mezzo fotografico.
La fotografia, intesa sia come atto del fotografare, sia come padronanza del
mezzo, certo, permea e dà senso a tutta la ricerca, ma il gesto del fotografo nel
suo caso va ben oltre la mera registrazione, per quanto perfetta della realtà,
per dir così, in immagini.
La mostra, curata da Elisabetta Buffa, che firma il testo di
presentazione, nasce a sua volta da un’indagine, una ricerca e documentazione
precisa e profonda.
L’esposizione si snoda tra immagini più o meno note del
maestro genovese: dai Ritratti mossi
(1967 - 1974) ai Ritratti reali
(1972), passando per le sperimentazioni di Geometria
non euclidea (1964), fino a giungere ad esempi recentissimi come Le cave (2016). In questo percorso non
solo le immagini, ma la profondità della consapevolezza teorica che vi sta
dietro, si dipanano come un discorso di assoluto interesse, capace di guardare
nelle case delle persone più semplici come di riflettere su questioni astratte
e di alta complessità.
"Autoritratto
Barbarano Romano 1978-79
Stampa Vintage
(Collezione Privata)"@courtesy Mario Cresci |
La mostra è bella e completa. Più di tutto, però, ho
apprezzato un particolare.
In una piccola stanza, a conclusione del percorso
espositivo, vi sono alcune immagini tratte dal mondo della botanica. Le
immagini hanno dietro una storia molto particolare. Un contadino, esperto di
piante, che però non sa leggere e ha imparato a memoria le descrizioni di
piante su un libro che gli viene letto ad alta voce da altri.
Piacerebbe a Walter Benjamin questo discorso tra immagini e
memoria, questo tenere a mente, con le immagini, ciò che si tramanda oralmente,
come le antiche storie.
A proposito di piante catalogate e ricordate per le loro
forme e immagini, viene in mente la ricerca di Karl Blossfeldt (1926), citata
proprio da Benjamin nella sua Piccola
Storia della Fotografia (1931). Così, come la memoria custodita da
quell'uomo semplice, la fotografia riflette sui meccanismi della percezione,
sulla propria storia e identità. Ne nasce un gioco dialettico potenzialmente infinito.
È come se la storia della fotografia, giunta ad un certo punto, di fronte ad un’immagine
antica e muta, improvvisamente si riavvolgesse su sé stessa, per dipanarsi poi
sempre di nuovo, come una stella che rinnova la sua luce.