Dialettica dell'assenza. Dujourie e Vercruysse @Tucci Russo

Vista d’insieme della mostra Lili Dujourie | Jan Vercruysse Courtesy gli artisti e Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea, Torre Pellice / Torino Foto Archivio fotografico Tucci Russo



La mostra di Lili Dujourie e Jan Vercruysse da Tucci Russo, a Torino, mi ha fatto venire in mente una poesia di Viktor Sklovskij (scrittore, critico e filosofo russo vissuto tra otto e novecento) che diceva più o meno così:
«Mi hai dato due incarichi: 1) Non telefonarti. 2) Non vederti. E adesso sono un uomo occupato.»

In mostra ci sono alcune installazioni e diversi lavori fotografici.
La fotografia, sia nel caso di Vercruysse, sia di Lili Dujoire, si fa strumento di indagine mentale, qualcosa che scava dentro, nell’onirico. Le persone si capovolgono, letteralmente, il punto di vista si ribalta.

Al centro dei lavori di Lili Dujourie e Jan Vercruysse, però, è il discorso sull’assenza.
Che cosa si intende con dialettica tra assenza e presenza? Osserviamo con attenzione, rifacendoci alla nostra esperienza quotidiana.

Che cosa vuol dire che qualcosa o qualcuno è assente, o ci manca? Sembra che l’assenza non sia nulla, solo mera mancanza di qualcosa. Eppure, per esempio, quando qualcuno che ci è caro si allontana o viene a mancare, senza dubbio sentiamo la sua assenza e magari ci troviamo a pensare a lui o a lei intensamente, molto più di quando quella persona era vicino a noi.

Lo stesso capita se a mancarci è un oggetto o un bene di qualche tipo. Facilmente ci troveremo a pensarci sempre. Magari ci concentriamo su come fare a ottenere quel bene o quella cosa, e ci diamo molto da fare. Poi, però, quando abbiamo ottenuto quello che desideravamo, la cosa perde improvvisamente d’interesse. Addirittura, ce ne dimentichiamo e la lasciamo in un angolo, per passare al desiderio successivo. Certo è un po’ nevrotico, questo meccanismo, ma accade.



Vista d’insieme della mostra Lili Dujourie | Jan Vercruysse Courtesy gli artisti e Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea, Torre Pellice / Torino Foto Archivio fotografico Tucci Russo



Ci ritroviamo quindi a pensare molto più qualcosa o qualcuno che manca, e non quelle cose o persone che sono presenti. L’assenza di qualcosa è dunque una costante allusione proprio alla cosa, o alla persona che non c’è. Un’allusione così insistente da diventare persino invadente, e pervadere lo spazio e il tempo circostanti.

Per questo il poeta era molto occupato a non sentire o vedere la sua amata. Qualcosa del genere capita nell’opera che apre la mostra da Tucci Russo.
È di Vercruysse, s’intitola Petite Suite, è del 1986 e mostra alcune cornici appese al soffitto. A queste cornici manca però un lato, così che al loro interno non incorniciano nulla. A completare l’installazione, c’è una poltrona accostata alla parete, vuota.

L’assenza domina tutto. Ma alla dialettica tra assenza e presenza qui si aggiunge un terzo termine, che funge quasi da medium. Questo terzo termine è l’attesa, che come un “ponte poetico” si stende tra assenza e presenza.

La dialettica dell’assenza è in opera però anche nelle piccole immagini di Lili Dujourie della serie Untitled storm. Il mare e i suoi movimenti ritmici e imprevedibili qui scandiscono la dialettica tra assenza e presenza, nella tensione costante dell’attesa.

Viene in mente la poesia di Borges intitolata, appunto, Ausencia – assenza. L’assenza dell’amata circonda il poeta, dicono i versi, «come la corda la gola, il mare chi sprofonda».

Il sentimento è tanto intenso, persino straziante, perché l’assenza, come si diceva all’inizio di questa riflessione, è tutt'altro che nulla, anzi, può farsi feroce, anche se è silenziosa.

Allo stesso modo, però, anche l’attesa è qualcosa di molto intenso. Quando aspettiamo qualcosa che non c’è, sperando, il nostro stato d’animo si solleva, facciamo fantasie, apriamo i nostri orizzonti. Quando questo accade, entriamo in uno stato di grazia. Non facciamo più le cose allo stesso modo di prima, perché speriamo che arrivi qualcosa di buono per noi, ci pare quasi di sentirlo arrivare.

Non vi è mai capitato, per esempio in piena estate, di pensare al tempo di Natale con malinconia e dolcezza? O di desiderare, in pieno inverno, il caldo e il sole dell’estate? Tutti questi sentimenti, l’anticipazione mescolata al ricordo malinconico e al desiderio, costruiscono insieme uno stato d’animo poetico e tranquillo. È l’attesa, o La passione dell’estate per l’inverno, come potremmo dire parafrasando il titolo del video di Lili Dujourie.


Vista d’insieme della mostra Lili Dujourie | Jan Vercruysse Courtesy gli artisti e Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea, Torre Pellice / Torino Foto Archivio fotografico Tucci Russo

L’attesa è il non-ancora: il luogo della speranza. Un tempo sospeso, ma gravido di promesse. Ecco perché da un lato l’attesa può essere piacere essa stessa, come diceva Oscar Wilde, ma anche avere una valenza spirituale molto profonda (pensiamo agli ebrei che aspettano il Messia).

Ecco che allora le opere in mostra, sia quelle di Vercruysse, sia di Dujourie,  possono essere osservate da due punti di vista. Da un lato c’è l’assenza, dall’altro l’attesa.

Non è però tanto interessante cercare di capire quale dei due aspetti sia preponderante, se l’attesa o l’assenza. La poesia è qui proprio nel gioco tra i due termini. In questa altalena tra assenza e attesa, in cui tante cose capitano nella nostra fantasia, possiamo crescere come bruchi nel bozzolo che li renderà farfalle, e farci cullare, come dalle onde del mare.


Per info sulla mostra: www.tuccirusso.com