Tai Shani, Installation view courtesy @ Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e l'artista |
Per il terzo appuntamento con The Institute of Things to
come di Ludovica Carbotta e Valerio del Baglivo, alla Fondazione Sandretto Re
Rebaudengo fino al prossimo 26 maggio c’è Tai Shani.
L'artista, tra l'altro, la notizia è di ieri, è nella shortlist del Turner Prize 2019.
L'artista, tra l'altro, la notizia è di ieri, è nella shortlist del Turner Prize 2019.
L’installazione e le opere di più piccole dimensioni di Tai
Shani esposte a Torino, fanno parte di un progetto più ampio, ispirato a La città delle donne di Cristine de
Pinzan, del XIII secolo. Testo femminista
ante litteram, che ispirò già Federico Fellini nell’omonimo film del 1980.
Al centro di entrambe le opere ispirate al testo quattrocentesco,
quella di Tai Shani e il film di Fellini, c’è il riferimento al femminile. C’è
l’idea di una città interamente governata da donne, una sorta di moderno
matriarcato in cui le qualità femminili sono prevalenti e dominanti.
Tai Shani si sofferma sul femminile, creando una sorta di
inno alla donna, variegato, ironico e pieno di energia.
Per Fellini le cose erano un po’ diverse, tranne che per l’ironia.
Protagonista del film di Fellini era Mastroianni- Snaporaz. La
trama era più o meno questa: Snaporaz fa moltissima fatica a relazionarsi con l’altro
sesso e sogna un sogno grottesco e maldestro. Nel sogno c’è una Città delle
Donne, in cui egli diventa per loro prima oggetto di scherno, per poi essere condannato
al pubblico linciaggio. Nel finale c’è molta ironia e poca speranza. Snaporaz
di donne non ne capisce proprio e il suo sogno-incubo, ahilui, rischia di
diventare realtà. I suoi occhiali, infatti, sono rotti: come dire che ci sono
cose che lui proprio non riesce a vedere e, perciò, a comprendere.
Bene. Ora immaginiamo che Snaporaz decida di ritornare tra
noi, giusto per farsi un giretto alla Sandretto. Gli sarebbe utile per capirci
qualcosa? Beh, forse di sì, e probabilmente per molte ragioni. Di certo gli
sarebbe utile la sala dedicata a Tai Shani.
Il lavoro di Tai Shani ha due caratteristiche fondamentali.
La prima è, appunto, il tema del femminile. La seconda è la
multidisciplinarietà, anzi la multi- o cross-medialità. Con Tai Shani, l’arte
diventa vero e proprio evento che mescola forme espressive differenti: dal
video all’installazione, fino alla performance e molto altro.
Nel lavoro, il femminile è rappresentato come un vero e
proprio oggetto totemico e la sala espositiva si trasforma in una specie di
tempio. Tutte le espressioni, coloratissime, archetipiche del femminile si
manifestano in un’esplosione di colori e di forme. Ogni cosa si colora, le
forme si arrotondano, le allusioni sessuali si moltiplicano. Tutta l’area
semantica normalmente associata a ciò che è femminile viene rappresentata,
fosse anche soltanto in un dettaglio. Ci sono forme geometriche, mani che
prendono un volto, parti del corpo sessuali che sono quasi ipostatizzate.
E così, le due caratteristiche del lavoro di Tai Shani prima
individuate - il tema del femminile e la multi-cross-medialità - a ben vedere, rivelano
una radice comune.
Per gli antichi greci, Afrodite era la dea per eccellenza
femminile. Afrodite è però anche definita, in qualche luogo, la “dea alchemica”:
perché, lungi dall’essere la dea dell’amore nel senso sanremese del termine, a
lei piaceva soprattutto far incontrare le cose e le persone, farle mescolare
tra di loro, renderle creative e portatrici di vita e bellezza.
Ecco che allora, da questo punto di vista, il riferimento al
femminile, e il fatto di declinare il lavoro in più forme ed espressioni, moltiplicandone
l’effetto e amplificandone il senso, appaiono, alla fine, come due possibili
aspetti della stessa ricerca.
Al centro di tutto, certo, è posto il corpo femminile e la
sua sessualità, che però si svincola completamente da tutti i cliché più o meno
sessisti. Il corpo qui è rappresentato con simboli e figure che vogliono essere
insieme segno del femminile e sua profonda espressione.
Viene in mente Platone, nel Cratilo, dove Socrate parla
del corpo umano e lo riconosce insieme come sema
(corpo, ma anche tomba, sepolcro, scrigno e custodia) e soma (che vuol dire segno). Per Platone il corpo è insieme custodia
e sepolcro dell’anima, ma anche, contestualmente, segno che indica, allude ad
altro da sé.
La grande installazione di Tai Shani esposta alla Sandretto,
così come la sua scelta di spaziare tra media espressivi e modalità diverse
nello stesso lavoro, sembra giocarsi tutta intorno a questa dialettica tra sema
(corpo) e soma (segno). Il tutto in una festa di colori, forme e modalità
espressive differenti, alchemicamente feconde e vivacissime.
Con buona pace del povero Snaporaz!
Per info: www.fsrr.org