Simone Mussat Sartor, Private memories #18, 2018, polaroid, cm 51x28, courtesy Alberto Peola Arte Contemporanea |
1 1. La mostra da Peola
Per il progetto in mostra da Peola, Simone Mussat Sartor ha fotografato le sue tre figlie usando una vecchia polaroid. Il soggetto è semplice, tocca temi condivisibili. Il rapporto tra sorelle, da solo, ha interessato, nel corso dei secoli, una quantità di opere letterarie e cinematografiche memorabili, dalle Tre sorelle di Checov fino a Hannah e le sue sorelle di Woody Allen, per citarne solo un paio. Ma possiamo scivolare ancora più indietro nel tempo e in profondità, dove ci sono le fiabe più antiche, da Cenerentola in su, dove, chissà per quale ragione, le sorelle sono sempre tre.
Il progetto di Simone Mussat Sartor, però, pur toccando, per forza di cose, questo topos narrativo, non lo fa intenzionalmente. Al contrario, le immagini in mostra nascono da un’esigenza personalissima e di cui si avverte la sincerità nei toni delicati, a tratti divertiti, nelle geometrie spontanee, ironiche e metafisiche al tempo stesso, nella narrazione schietta e diretta. I suoi scatti vogliono cogliere il nesso, ciò che lega e insieme ciò che distingue una creatura dall’altra, una figlia dall’altra. È l’ansia in senso buono di dire allo stesso tempo la somiglianza e la complementarietà. Tutte quelle cose, insomma, che rendono un gruppo più individui che stanno insieme e si vogliono bene quello che chiamiamo una famiglia.
Trovare ed esprimere poesia raccontando gli affetti famigliari, senza cadere nella retorica e tantomeno in sciocchi moralismi, facendo i conti con la realtà della famiglia com’è oggi, quella vera e libera di esprimersi, è di per sé un valore.
Ma c’è anche dell’altro. La bellezza del lavoro di Mussat Sartor è nel progetto. Un progetto pensato, articolato e svolto attraverso il medium della fotografia. Non da fotografo e basta, ma da artista contemporaneo.
Che ci sia insieme un legame e una forte separazione tra ciò che è fotografia tout court e ciò che è arte contemporanea e fa della fotografia il proprio medium, è un tema per nulla banale e ancora mai abbastanza studiato. Che la fotografia sia mezzo dell’arte qui appare chiaramente. Con tutta l’energia e l’armonia di una ricerca e di un progetto pensato e svolto con grazia, ma anche con intenzionalità.
Il progetto qui è identificabile nella scelta del mezzo, una vecchia polaroid che fa istantanee non riproducibili in serie. Sta nella delicatezza delle pose delle ragazze, spontanee ma eleganti come le figure dei quadri di Casorati. Sta nella regolarità geometrica, euritmica dei quadri con le immagini a tre a tre (tranne una, perché on poeta mancare la tache aveugle).
Simone Mussat Sartor, Private memories #11, 2018, polaroid, cm 51x28, courtesy Alberto Peola Arte Contemporanea
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L’altro tema che mi sta a cuore, riguarda invece la dinamica famigliare che il progetto rivela. Un padre fotografa le sue figlie, le tiene insieme in un unico abbraccio. Il gesto, da parte di un maschio e padre, è significativo e stimabile. Dal punto di vista della famiglia, che si allarga come si allargano le braccia che abbracciano, ma soprattutto dal punto di vista di una mascolinità evoluta, che si identifica anche con ciò che riesce a tenere insieme. Che si fa carico di creare relazione senza delegare ad altri, con buona pace (era ora) dei vecchi, ma spesso ancora duri a morire, stereotipi sessisti.
Simone Mussat Sartor, Gambe, 2011-ongoing, fotografia, 26,5x26,5 cm, courtesy Alberto Peola Arte Contemporanea |
2 2. …e poi lo stand per The Phair
A proposito di stereotipi sessisti, di maschile e femminile…
In occasione di The Phair, la nuova fiera di fotografia che inaugurerà a Torino
il prossimo maggio, la Galleria Alberto Peola dedicherà interamente al lavoro
di Simone Mussat Sartor il proprio stand.
Saranno presentati alcuni lavori, tutti fatti un semplice
Iphone e con un ampio lavoro di postproduzione, che hanno al loro centro, come
già in altri progetti, la reiterazione regolare di una stessa serie di scatti,
a sottolineare una nozione ciclica e ripetitiva del tempo e del gesto.
Qui, oltre a una serie più metafisica sui cancelli, segnalo
in particolare una sequenza di immagini, in cui il confronto del fotografo con
il mondo femminile si sposta dal soggetto “figlia” al soggetto “donna”.
«Le gambe delle donne sono
dei compassi che
misurano il globo terrestre in tutte le direzioni, donandogli il suo equilibrio
e la sua armonia» diceva L’uomo che
amava le donne nel celebre film di Truffaut del 1977. Simone Mussat Sartor
lo cita e, consapevolmente, in modo divertito cerca di ritrovare lo stesso
sguardo insieme ironico e gentile, erotico, ma aggraziato e spiritoso, in una
serie di scatti.