Opera di Vincenzo Castella, Torino 2003 - courtesy @Fondazione Sandretto Re Rebaudengo |
Questa mattina, presso le sale della Fondazione Sandretto Re
Rebaudengo, a Torino, è stato presentato al pubblico il Padiglione Piemonte della
prossima Biennale di Venezia.
Ma come, Padiglione Piemonte? Ma a Venezia
non ci sono soltanto padiglioni nazionali? Il Piemonte è una regione, mica una
nazione a sé.
Ma no, infatti. Certo che il Piemonte è una Regione. Ma è una Regione talmente ricca di storia, arte e cultura, da meritarsi una mostra-evento
ad hoc che la celebri.
E, attenzione, la cosa non vuole proporsi come un evento meramente
promozionale, bensì come un esperimento profondamente artistico e culturale.
Vediamo come.
Il Piedmont Pavillion è realizzato insieme dalla Fondazione
Sandretto e dal Castello di Rivoli (e questa collaborazione è già di per sé un’ottima
notizia), con il supporto della Fondazione San Paolo e della Regione Piemonte. È
curato da Marianna Vecellio a partire da un concept (sinceramente geniale!) di
Carolyn Christov- Barkagiev e inaugurerà negli spazi di Combo, a Venezia, appunto
in contemporanea alla Biennale Ufficiale, tra gli eventi collaterali della
Biennale stessa.
Della Biennale ufficiale, il Padiglione Piemonte, però,
rispetta l’argomento e filo conduttore, che quest’anno, come saprete è: Che tu possa vivere tempi interessanti.
May you live interesting times.
May you live interesting times.
Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto, courtesy @Castello di Rivoli e l'artista |
Ok. La frase è di interpretazione quantomeno ambivalente,
ammettiamolo. Non c’è bisogno di scomodare un antico detto armeno, per capire il
doppio senso che qui occhieggia. Suona un po’ come dire «tanti auguri» a qualcuno fingendo di auspicargli il bene, ma in realtà, come si dice nel calcio, gufando.
Oltre l’ironia, a me è
venuto in mente Ivano Fossati, quando cantava della fortuna di vivere adesso,in questo tempo sbandato. E però, ironia a parte, è vero, che è una fortuna vivere in tempi di
cambiamento, per sbandati che siano.
È allora, in quei tempi sbandati, che davvero possiamo
provare a inventare cose nuove, proponendo nuove vie. Come sapeva bene Husserl
quando scriveva della Crisi delle Scienze
Europee, c’è un senso interessante del termine «crisi», se il tempo di
crisi è quel tempo che mette in discussione tutto, e ci costringe a ripensare, immaginare, diremmo noi, inventare. E poter (e, soprattutto, saper) inventare,
diventando un po’ visionari, è sempre una fortuna.
Ma torniamo al Piemonte.
Per il Padiglione Piemonte, il titolo ispirato al main theme della Biennale 2019 è stato declinato
in altro modo e suona così: May you live
in interesting times at the foot of the hills. How to lie low and ski at once:
The Piedmont Pavilion.
(At the
foot of hills. Piè- monte. Non “the fool on the hill”, occhio.)
Ma perché prima ho scritto che il concept è geniale? È geniale perché è un concept
del tutto innovativo. Davvero in linea con i nostri tempi interessanti e fortunatamente sbandati.
Perché il Piedmont Pavillion non si preannuncia come una mostra qualsiasi o, meglio, non solo. È una mîse-en-scène, una Gesamtkunstwerk, dove si incrociano armonicamente opere d’arte realizzate
per l’occasione e opere che vengono dalle collezioni. Antico e moderno,
letteratura e prodotti della terra, oggetti cult come una 500 del 1957 e la
poesia di Gozzano.
Insomma, il Padiglione Piemonte è una scommessa e una bellissima
novità. Qualcosa tra una “normale” mostra di arte contemporanea, una pièce
teatrale sperimentale e un contenitore di suggestioni, creazioni, prodotti e
soprattutto valori della nostra Regione.
Un evento off rispetto alla Biennale d’Arte Contemporanea,
che avrà tra le sue fila artisti di livello altissimo e metterà insieme, come
per magia, personaggi, oggetti e realtà variegate. Da Michelangelo Pistoletto a
Ludovica Carbotta (una delle due italiane della selezione ufficiale di quest’anno,
tra l’altro), da Carlo Mollino a Pinot Gallizio, da Lara Favaretto (l'altra italiana presente nella selezione ufficiale) a Pellizza da Volpedo, dalla Mars Rover alla Fiera
del Tartufo e al vino, passando per l’Arte Povera, la parte
letteraria e poetica affidata a Gianluigi Ricuperati, e molto altro ancora.
Ludovica Carbotta, Monowe (the city museum), 2016, installazione, sculture, dimensioni variabili. Foto Musacchio & Ianniello, courtesy Fondazione MAXXI |
Qui di seguito un paio di dettagli intriganti. Ludovica Carbotta è
stata chiamata a costruire un lavoro ad hoc che possa connettere tra loro le
diverse esperienze in mostra. Cosa bellissima. Perché l’arte non dovrebbe
sempre fare così?
Altrove viene citato Gozzano, il poeta che fece fare a Nietzsche un’irriverente rima con «camicie», tra l’altro in riferimento a una fanciulla leggiadra, ma terrapiattista antelitteram (T’han detto che la terra è tonda, ma tu non credi…). E così via…
Altrove viene citato Gozzano, il poeta che fece fare a Nietzsche un’irriverente rima con «camicie», tra l’altro in riferimento a una fanciulla leggiadra, ma terrapiattista antelitteram (T’han detto che la terra è tonda, ma tu non credi…). E così via…
Il tutto legato dall'ironia, certo, però nel senso profondo
del mettere insieme cose diverse, cultura alta e cultura pop, come si
diceva una volta e a qualcuno piace ancora dire. Cose tra loro lontane, ma solo
in apparenza, tutte frutto ed espressione viva e creativa di uno stesso territorio.
Così, come affermato giustamente da Pistoletto nel corso
della conferenza stampa, la mostra stessa, o meglio l’evento complessivo, è a
sua volta un’opera d’arte. Appunto, una sorta di Gesamtkunstwerk tra il
teatrale, l’arte visiva, la parola letteraria e la produzione
industrial-culturale.
Un’esperienza a tutto tondo che fa praticamente tutto. Anche il caffè.
Un’esperienza a tutto tondo che fa praticamente tutto. Anche il caffè.
Non è uno scherzo. In mostra sarà presentata una macchina
per fare il caffè del tutto innovativa.
Quindi, a maggio, parafrasando la celebre canzone di Paolo Conte(altro piemontese style doc), tutti a Venezia...