Ketty La Rocca, Appendice per una supplica, 1972 (frame) courtesy @Gam Torino |
Le mani, si dice, sono le prime cose che guardiamo in una
persona. È un comportamento arcaico, che portiamo inconsciamente con noi, nei
nostri geni. Anticamente, quando un nuovo arrivato varcava le soglie di un
villaggio, fondamentale era sapere quali fossero le sue intenzioni. Era
importante sapere se lo straniero veniva in pace o no, se portava con sé armi
oppure doni. È per questo, dicono, che ancora oggi ci salutiamo con il palmo
della mano aperta e ben visibile. Per dire che veniamo in pace, che non abbiamo
nulla da nascondere.
Le mani sono da sempre il tramite tra noi e il mondo. Ci
permettono di conoscere, manipolare, agire nei confronti della realtà che ci
circonda. Le mani accarezzano, si stringono vicendevolmente. Le mani e i gesti
hanno un loro linguaggio, che di solito possiamo decodificare con facilità.
Ma le mani sono soprattutto la via di accesso al mondo per l’artista,
colei o colui che fa, che crea oggetti, opere. Vale anche per l’arte
concettuale, non c’è differenza.
Le mani sono al centro di alcuni lavori intensamente poetici
di Ketty La Rocca, artista italiana degli anni Settanta, forse meno conosciuta
dal grande pubblico di quanto meriterebbe.
Una piccola, ma preziosa mostra dedicata a questi lavori, ha
inaugurato ieri nella VideotecaGAM della Gam di Torino.
La curatela, colta, precisa e attenta, è di Elena Volpato.
Le opere di cui la collezione si è arricchita grazie al
supporto della Fondazione CRT per l’Arte, sono principalmente due: il video Appendice per una supplica, che fu
presentato alla 36a edizione della Biennale di Venezia, e il libro d’artista
che porta il titolo ispirato al Vangelo di Giovanni In principio erat, del 1972. Ci sono poi alcuni disegni e
fotografie.
Ketty La Rocca, Senza Titolo, 1972 courtesy @Gam Torino |
In entrambi i lavori principali attorno a cui la mostra si
articola, protagoniste sono appunto le mani e i loro gesti. I gesti sono però
decontestualizzati, volontariamente privati del loro significato originario, e
poi ricontestualizzati in modo inatteso, non dichiarato. Le forme delle mani
che si intrecciano e si muovono tra loro, emergendo dal buio, perdono così il
senso di un linguaggio codificato, prevedibile e precostituito, per entrare in
una dimensione completamente altra, magica, piena di senso e di bellezza. Sono
come le parole di una poesia astratta, surreale, che parla il linguaggio del
segreto e del mistero, che dice cose altrimenti non esprimibili a parole.
Per informazioni sulla mostra: www.gamtorino.it