Mangia con gli occhi, tessi la tua tela. Astrid Svangren @Quartz Studio

 
Astrid Svangren, 2019 courtesy @l'artista e Quartz Studio
foto di Beppe Giardino

In quel gioiellino di ricerca in ambito arte contemporanea di altissimo livello che è Quartz, di Francesca Referza, a Torino, si è inaugurata da qualche giorno un’esposizione di Astrid Svangren.

Svangren, svedese classe 1972, è artista nota a livello internazionale. Si autodefinisce una pittrice, perché la pittura ed il colore sono l’anima delle sue installazioni. Chi, però, si aspettasse da lei una mostra di pittura in senso tradizionale sbaglierebbe di molto.

Svangren dà vita ad ambienti intimi, segreti. Osservando l’allestimento dalla vetrina e poi varcando la soglia dello spazio espositivo, si ha la percezione quasi di violare un’intimità. E la prima sensazione è spiazzante.


Astrid Svangren, 2019  - veduta dell'installazione da Quartza Studio
foto di Beppe Giardino


Una sorta di telaio o arcolaio, realizzato in un particolare legno di ciliegio, abita lo spazio trasversalmente, tessendo un’improbabile filo fatto di scotch annodato, lucido. Accanto, a parete, uno specchio realizzato con quello stesso legno (un legno sacro agli Shakers, gruppo religioso fondamentalista di stampo cristiano). Sopra ad esso è appoggiato un tessuto sottile come carta di riso, intriso di colore rosso magenta fucsia. Di lato ci sono tubi, come grondaie, anch’esse rosse come il sangue, e poi un’altra struttura di forma tubolare, più grande, a terra.


Astrid Svangren, 2019 courtesy @l'artista e Quartz Studio
foto di Beppe Giardino

A parete stracci di plastica lucida, intrisi di colore, luccicano, si torcono. Infine, un'altra struttura a tubo, simile all’improbabile canna di un caminetto, è posta sopra una stufa antica, una di quelle che anticamente servivano tanto a scaldare le persone e le vivande. Dal tubo fuoriesce un altro pezzo di plastica bagnato di colore rosso, come lingua di fuoco.
Fuoco e sangue. Due modi del rosso, due elementi che rappresentano insieme vita e morte, e le due cose insieme.
Ogni oggetto che compone l’installazione appartiene a una tradizione che ha a che fare con il femminile, con le sue antiche occupazioni. Gesti come tessere, cucinare, farsi belle allo specchio. Gesti femminili intrisi di rosso come la passione e come il sangue, che sia quello mestruale o quello del parto.
Il risultato è molto forte. Dà l’idea di qualcosa che si mostra senza filtri, senza remore. Come se potessimo spiare un ambiente segreto, che tale deve rimanere, dalla serratura di una chiave.

Il titolo della mostra, lungo come quello di un film della Wertmüller, (Her spinning takes place near the mouth/ I see what I eat / I eat what I see / it is an eating that is about risk) rimanda al gesto del mangiare, accomunandolo a quello del tessere.


Astrid Svangren, 2019 courtesy @l'artista e Quartz Studio
foto di Beppe Giardino


Che cosa vuol dire mangiare? Che cosa vuol dire tessere?
Sono molte le favole in cui a un ingenuo protagonista è chiesto di mangiare qualcosa. Mangiare qualcosa di cucinato da qualcuno, a casa sua, vuol dire entrare a far parte del suo mondo, della sua cerchia intima. Mangiare è condividere, far entrare in sé le proprietà e le caratteristiche di qualcosa di esterno.


Astrid Svangren, 2019 courtesy @l'artista e Quartz Studio
foto di Beppe Giardino

Altrettanto magico è l’atto del tessere. Penelope tesseva la sua tela per scandire il tempo dell’attesa. L’arcolaio punge il dito della principessa e l’addormenta.
Mangiare con gli occhi, si dice di qualcosa che ci piace molto. Per Svangren vedere e mangiare sono lo stesso. E tutte e due le cose hanno a che fare con la tessitura, con un fare paziente, che del filo fa una coperta che copre, un abito che veste, e chiede tempo, pazienza, attenzione. Soprattutto tempo.


Astrid Svangren, 2019 courtesy @l'artista e Quartz Studio
foto di Beppe Giardino

Ma mangiare troppo è anche come parlare troppo, dire troppe cose, dire tutto e quindi sprecare tutto, svuotare l’anima e ferirla fino a farla sanguinare. E attendere troppo può essere rischioso. Perché ci sono cose che non possono essere dette, e arrivate alla soglia della bocca per farsi parola, inevitabilmente si perdono.
Così appare l’opera di Svangren. Un segreto da custodire, con la pazienza e l’amore di colei che tesse la propria tela. Solo così quel segreto diventa la fucina della nuova vita, dell’energia futura, che bussa alla porta e non vede l’ora di irrompere nella vita e nascere.



La mostra è realizzata da Quartz Studio con il sostegno dell’Arts Council Danese e dell’Ambasciata di Danimarca a Roma.
Mostra visitabile su appuntamento. Per info: www.quartzstudio.net