L'edizione originale (e impaginata per il diritto!) del libro di Derrida, edito da Flammarion |
Però... poi uno
dice, perché quasi sei orgogliosa di non essere accademica… Va beh. State a sentire. Comincio dal
principio.
Il corso di
filosofia sulle immagini che sto tenendo al Centro Phos, a Torino (in cui tento
di spiegare le immagini con la filosofia e la filosofia con le immagini e mi
diverto molto), sta diventando per me anche l’occasione di rimettere mano nuovamente ad alcuni testi
studiati anni fa, anche solo per una citazione.
Premetto: grazie
al cielo leggo le lingue straniere, ciò che mi consente, spesso e volentieri –
ma soprattutto, sono sincera, in mancanza di traduzioni o edizioni italiane –
di leggere i testi filosofici in lingua originale.
È stato il
caso, anni fa, di La carte postale, di
Jaques Derrida.
Tuttavia, mi
sono detta, se mi rivolgo nel mio corso a non addetti ai lavori, meglio che le
citazioni siano sempre in italiano, giusto?
Ok, quindi eccomi
a cercare le traduzioni ufficiali dei testi, da me prima ignorate.
La prima,
quella di Derrida, ai tempi in cui io lessi il testo originale proprio non
esisteva.
A questo
punto è necessaria un’altra premessa: tenete conto che le traduzioni dei testi
filosofici non sono solo traduzioni utili a leggere i testi nella propria
lingua, come voi forse ingenuamente credete. Eh no. Le traduzioni di testi come
questi sono… titoli! Ovvero, servono a fare punteggio per ottenere posti (e
relativi stipendi!) all’Università.
Viene da chiedersi su che basi siano assegnate.
Ma proseguiamo.
Qui la recensione nel testo integrale e esilarante di Andrea Calzolari (2015) su Il manifesto, a cui vi rimando.
Giusto
qualche anticipazione, come dicono gli americani, “to make your day”:
«plume (termine che ricorre spessissimo nel
libro e che, come si sa, corrisponde all’italiano «penna») è reso senza
eccezioni con «piuma»; arrêt de mort regolarmente con «arresto di morte»;
souffler con «soffiare» anche quando significa «suggerire» e «respirare»,
adresse con «indirizzo» anche quando significa «abilità»; càpita che
collectionneurs (di cartoline postali) sia reso con «collezionatori» (più
avanti hanno scoperto che in italiano si dice «collezionisti», ma non sono
tornati a correggersi).»
Ma poi, qui
è super: «m’envoyer promener (cioè «mandarmi a girare»), viene tradotto con «inviarmi a
passeggiare»; oppure quando si parla di un quadro appeso al muro «poco sopra il
segretario» (che è ovviamente un secrétaire)».
Va beh. Io sto
ancora ridendo per il quadro appeso sopra il segretario.
Poi mi
ricordo che questi sono “titoli”, cioè crediti ufficiali, riconoscimenti, per i
“filosofi” ufficiali di domani, o forse anche già di oggi.
Sono sempre
più convinta che la filosofia, se c’è, è da un’altra parte.
Mica in senso
poetico, per dire tipo che la filosofia diserta le cattedre e le baronìe. Ma
no. Non è la filosofia o, più in generale, la cultura, ad essersene andata dai luoghi dove la trovavamo fino a qualche anno fa. È stata proprio cacciata fuori. Restano
solo… i titoli.
Non fraintendetemi però, non sono polemica: io adoro l'umorismo involontario!
Non fraintendetemi però, non sono polemica: io adoro l'umorismo involontario!
Anzi, lo confesso: non ho comprato la traduzione del testo di Derrida, non ho controllato di persona. Ma voi, dopo aver letto la recensione, la comprereste?
Fortuna che
oggi il mondo gira, e i posti per scrivere e per parlare sono tanti.
Che dire? Mi viene in mente Mourinho, pensa te (Zero tituli! Anzi, qui, titoli che valgono zero). Ma guarda chi mi tocca
citare.