Il quadro poco sopra il segretario. Mourinho, Derrida e i traduttori (traditori?) della filosofia

L'edizione originale (e impaginata per il diritto!) del libro di Derrida, edito da Flammarion



Il quadro? Il segretario? Ma che dici? No, no, non parlo di primarie del pd, tranquilli. 

Però... poi uno dice, perché quasi sei orgogliosa di non essere accademica… Va beh. State a sentire. Comincio dal principio.

Il corso di filosofia sulle immagini che sto tenendo al Centro Phos, a Torino (in cui tento di spiegare le immagini con la filosofia e la filosofia con le immagini e mi diverto molto), sta diventando per me anche l’occasione di rimettere mano nuovamente ad alcuni testi studiati anni fa, anche solo per una citazione.
Premetto: grazie al cielo leggo le lingue straniere, ciò che mi consente, spesso e volentieri – ma soprattutto, sono sincera, in mancanza di traduzioni o edizioni italiane – di leggere i testi filosofici in lingua originale.
È stato il caso, anni fa, di La carte postale, di Jaques Derrida. 

Tuttavia, mi sono detta, se mi rivolgo nel mio corso a non addetti ai lavori, meglio che le citazioni siano sempre in italiano, giusto?

Ok, quindi eccomi a cercare le traduzioni ufficiali dei testi, da me prima ignorate.
La prima, quella di Derrida, ai tempi in cui io lessi il testo originale proprio non esisteva.
A questo punto è necessaria un’altra premessa: tenete conto che le traduzioni dei testi filosofici non sono solo traduzioni utili a leggere i testi nella propria lingua, come voi forse ingenuamente credete. Eh no. Le traduzioni di testi come questi sono… titoli! Ovvero, servono a fare punteggio per ottenere posti (e relativi stipendi!) all’Università.
Viene da chiedersi su che basi siano assegnate.
Ma proseguiamo.


Giusto qualche anticipazione, come dicono gli americani, “to make your day”:

 «plume (termine che ricorre spessissimo nel libro e che, come si sa, corrisponde all’italiano «penna») è reso senza eccezioni con «piuma»; arrêt de mort regolarmente con «arresto di morte»; souffler con «soffiare» anche quando significa «suggerire» e «respirare», adresse con «indirizzo» anche quando significa «abilità»; càpita che collectionneurs (di cartoline postali) sia reso con «collezionatori» (più avanti hanno scoperto che in italiano si dice «collezionisti», ma non sono tornati a correggersi).»

Ma poi, qui è super: «m’envoyer promener (cioè «mandarmi a girare»), viene tradotto con «inviarmi a passeggiare»; oppure quando si parla di un quadro appeso al muro «poco sopra il segretario» (che è ovviamente un secrétaire)».

Va beh. Io sto ancora ridendo per il quadro appeso sopra il segretario.
Poi mi ricordo che questi sono “titoli”, cioè crediti ufficiali, riconoscimenti, per i “filosofi” ufficiali di domani, o forse anche già di oggi.

Sono sempre più convinta che la filosofia, se c’è, è da un’altra parte.
Mica in senso poetico, per dire tipo che la filosofia diserta le cattedre e le baronìe. Ma no. Non è la filosofia o, più in generale, la cultura, ad essersene andata dai luoghi dove la trovavamo fino a qualche anno fa. È stata proprio cacciata fuori. Restano solo… i titoli.

Non fraintendetemi però, non sono polemica: io adoro l'umorismo involontario!

Anzi, lo confesso: non ho comprato la traduzione del testo di Derrida, non ho controllato di persona. Ma voi, dopo aver letto la recensione, la comprereste?

Fortuna che oggi il mondo gira, e i posti per scrivere e per parlare sono tanti.
Che dire? Mi viene in mente Mourinho, pensa te (Zero tituli! Anzi, qui, titoli che valgono zero). Ma guarda chi mi tocca citare.