Che cos'è la sostanza? Per gli antichi filosofi greci la sostanza è detta οὐσία ed è l'elemento ineliminabile, l'ultimo residuo, l'essenza più profonda di qualcosa, quella che fa sì che quella cosa sia quella cosa lì, quella che è.
Che cos'è il vuoto? Per Aristotele il vuoto non esiste, è solo assenza, nient'altro che mancanza di qualcosa che non c'è. Per Heidegger il vuoto, invece, non è niente.
Per gli orientali, il vuoto è ciò che abbiamo di più prezioso, il luogo dove tutto si crea e rinasce, perché solo il vuoto, lo sapeva già Democrito, consente il movimento.
Del vuoto però l'essere umano ha sempre avuto paura. Si dice horror vacui l'orrore del vuoto. La paura di niente. Curioso, no?
Ma torniamo all'essenza. L'essenza si dice anche di un profumo. Tirar fuori l'essenza di una pianta, di un fiore o di una sostanza, sarà allora tirarne fuori l'elemento ultimo, il più volatile e leggero, ma ineliminabile.
E di un suono? Esiste l'essenza di un suono? E della musica?
Qui si gioca il lavoro di Charles Stankievech.
Far risuonare la musica dentro il vuoto di una campana di vetro, fino a renderla assolutamente pura, ipnotica, solo parzialmente riconoscibile. Passare la musica in un procedimento alchemico, per tirarne fuori l'essenza, il mantra segreto, il suono nella sua sostanza, è come ricavare il profumo da (di) un suono.
Allora il vuoto non fa più paura. È l'elemento primo, anzi, in cui la musica si cuoce, fino ad emettere la sua essenza.
L'artista lo fa con i Beach Boys, i Velvet Underground e David Bowie. Di quest'ultimo lavora su Sound and Vision, canzone nota del già sperimentale album del 1977, Low, che si avvaleva della collaborazione fruttuosa di Brian Eno.
Sound and vision. Suono e visione. Ed essenza, e profumo.
Chissà se il Duca Bianco conosceva il lavoro di Stankievech? Sono certa che se ne sarebbe innamorato.
*Thanks to Sarah Belden and Unique Multiples Gallery, Toronto