Di storie e di stampe fotografiche @Phos Centro



courtesy @Phos Centro 


Quando eravamo piccoli, ogni volta che si scattava una foto bisognava aspettare molto tempo per vederla. Si doveva prima finire il rullino, poi portarlo a sviluppare, e poi pazientare qualche giorno, fino a quando, finalmente, si andava a ritirare le fotografie al laboratorio e le si portava a casa. 
Solo allora, dopo tempo, con una certa trepidazione, le si poteva guardare. Ma sempre con un'attenzione fondamentale: mai metterci le dita sopra! Se per caso qualcuno le prendeva ancora "fresche", in modo spontaneo, tra pollice e l'indice della mano, per quanto delicatamente, rischiava di rovinarle per sempre. Con il risultato, tra le altre cose, di immettere nel mondo fotografato della memoria un'ombra estranea, una presenza finta, una macchia cieca, capace in un batter d’occhio di mandare a monte l'operato del fotografo.


Oggi questo non accade quasi più. Le foto si scattano in digitale, a centinaia, anche con lo smartphone, e si possono guardare immediatamente. Persino, cosa che non si capisce se sia un bene o meno, si possono “condividere" potenzialmente con migliaia di estranei a cui non gliene importa nulla, ma senza dover aspettare nemmeno un secondo. La foto non è più solo riproducibile, è anche realizzabile all'infinito. E, non dovendo più maneggiarla con le nostre mani, non esiste più il pericolo di macchiarla per sempre con la traccia indelebile di un’impronta digitale.

Ma c’è un ma.
Paradosso curioso: la foto, tanto facile da prendere e da conservare nella memoria del computer o di una chiavetta o un cd, a farci caso, più facilmente (chi l'avrebbe detto) si perde. Si perde nei meandri del web, tra mille messaggi, commenti e altre foto, se condivisa. Si perde quando, conservata digitalmente, il dispositivo si danneggia, si altera o si arresta o, cosa ancora più frequente, diventa presto obsoleto e viene buttato via e sostituito con un nuovo device più efficiente. Certo, il file è sempre recuperabile. Ma quante volte ci siamo davvero presi la briga di mandare un vecchio floppy disc da un tecnico, per salvare le foto di qualche vacanza o compagnia di cui ci siamo già dimenticati? Il vecchio dispositivo giace piuttosto, di solito, al fondo di qualche cassetto, con dentro ben stipati nel segreto tutte i ricordi ora inutili, su cui grava la condanna dell'oblio, che li farà restare per sempre eterei e invisibili.
E così le uniche memorie che ci rimangono sono spesso le vecchie foto, quelle salvate per miracolo prendendole per i bordi millimetrici con le dita attente, o al massimo con qualche piccola traccia delle mani di qualcuno che magari non c’è più.

Per questo resto sempre affascinata quando vedo, alle mostre di fotografia, quegli album di immagini da sfogliare con accanto un paio di guanti che mi ricordano quelli di un chirurgo.
Guanti che vogliono dire: attenzione, maneggiare con cura. Il materiale che compone le immagini è prezioso e fragile. Non puoi toccarlo di fretta, con le tue mani. Devi aspettare il tuo turno e indossare un guanto bianco. Oppure puoi guardarle, le immagini, sì, ma se sono esposte dietro un vetro a porre un limite ad alcune cose come la polvere che c’è nell’aria, soprattutto le mani - ma forse, chissà, anche gli occhi.

Il Centro Phos di Via Vico 1 a Torino non è soltanto una rinomata Scuola di Fotografia (dove si svolgerà, tra le altre cose il mio corso diFilosofia e Fotografia, a partire da novembre!), una galleria dove sono esposti lavori di giovani come di grandissimi maestri, e un laboratorio di immagini fotografiche fine arts . Phos è anche una casa editrice specializzata in stampe fotografiche in tiratura limitata e oggi, presso le sale della sede, alcune di queste stampe sono esposte in una mostra dal titolo Storie, giochi, anime, visitabile fino a fine ottobre.

Le fotografie in mostra sono opera di dodici fotografi invitati dalla direzione artistica di Phos a realizzare i loro lavori all’interno di un progetto di ampio respiro, che si comporrà complessivamente di ben ottanta opere fotografiche. 

I soggetti delle foto in mostra, così come i temi che vengono affrontati, sono variegati e tra loro diversi per scelte stilistiche anche profonde, che coinvolgono la stessa la concezione dell’atto fotografico come del mezzo espressivo.

Animali, sogni, visioni, racconti realistici e fantastici, si alternano così sulle pareti delle sale espositive del centro, in una imprevedibile alternanza di bianconero, colori, sensazioni, fantasie e testimonianze che evocano di volta in volta visioni del mondo tra loro differenti, ma accomunate da una condivisa attenzione al dettaglio e alla precisione nella realizzazione tecnica e compositiva. Non c'è unità, per il resto. La tecnica di stampa di fatto è il contenuto protagonista dell'evento espositivo, come del progetto in generale. 

Ma che cos'è la stampa fotografica?

La stampa fotografica è quella cosa simile a un processo alchemico che, dopo averla cullata nel buio e raffinata nell’acido, rende la fotografia un oggetto, la mette al mondo donandole un corpo, una forma tangibile. Anche se poi sarà vietato toccarla, se non con estrema cura e attenzione, magari con le mani velate da un candido guanto. 

Tutto questo vale tanto più, ovviamente, quando si tratta non di stampa fotografica tout court, ma di stampa di opere d'arte. Nella prospettiva dell'arte e dell'autoralità tutto quanto abbiamo detto fin qui, anzi, si amplifica. 

Così, se per noi le immagini sono quasi sempre digitalizzate e hanno perso la loro componente concreta e fisica, anzi corporea, la loro consistenza di fotografie da tenere in mano senza toccarle con le dita per non rovinarle, tanto più nella fotografia d'autore l'attenzione scrupolosa alla stampa diventa valore di per sé. 
È, tra le altre cose, il valore della dimensione tattile della fotografia, della sua pur riproducibile esistenza come oggetto palpabile e percepibile, paradossalmente, non solo con gli occhi, ma esistente qui ed ora e quindi deteriorabile. Non più mero fantasma annidato nelle pieghe del mondo virtuale, ma cosa fatalmente esposta agli accidenti  (e a sostare, come tutto il resto, ancora nelle pieghe ma) del tempo, della polvere, e delle mani.



Le opere in mostra sono di: Brandy Eve Allen, Alice Belcredi, Stefano Bruna, Elisabetta Buffa, Davide De Martis, Yael Duval, Ilaria Ferretti, Antonio La Grotta, Nicola Lo Calzo, Francesca Manolino, Mattia Paladini, Vito Vagali.


Info sulla mostra  www.phosfotografia.com