Camera Pop ...e l'apparizione unica di una lontananza





Richard Hamilton, Just what was it that made yesterday’s homes so different so appealing?, (Upgrade), 2004 . Stampa a getto d’inchiostro a pigmenti piezoelettrici, 42 x 29,7 cm. Edizione di 25. Courtesy Alan Cristea Gallery, Londra © Richard Hamilton by SIAE 2018.



Avete presente quel saggio famosissimo di Heidegger sull’origine dell’opera d’arte? Lì Heidegger si sofferma su un’opera di Van Gogh, in particolare, un quadro che rappresenta le scarpe di un contadino. Heidegger sottolinea come quelle scarpe, mediate dallo sguardo dell’artista, diventino più di un semplice oggetto qualunque volto all’uso, ma, trasfigurate dall’opera d’arte, raccontino in qualche modo tutta la vita, il rapporto con la terra, la situazione affettiva non soltanto più di quel singolo contadino, ma in un senso molto più ampio e universale.


Le famose scarpe di Van Gogh - foto scaricata dal web



Avete presente? Ecco. Ora provate a fare la stessa cosa, lo stesso ragionamento, con un oggetto che si trova di fronte ai vostri occhi di esseri umani del XXI secolo.

Che cosa avete davanti ai vostri occhi in questo momento? Un macbook per esempio, o un pc? Uno smartphone di più o meno ultima generazione (più o meno, a seconda di quanto siete fortunati)? Una bottiglietta d’acqua con una certa etichetta sopra, o un vasetto di yogurt di quella certa marca che vi piace… Ci sono andata vicino? Beh, se voi foste americani degli anni Sessanta, con molta probabilità da qualche parte, davanti ai vostri occhi, ci sarebbe un barattolo di zuppa Campell. E le scarpe, beh le vostre scarpe, non so, forse sono un paio Doctor Martins oppure All star, altro che scarpe del contadino.


Scarpe di Van Gogh... molto più pop! Modello Vans, foto scaricata dal web



Fermiamoci un attimo a pensare. Dai tempi del contadino di Van Gogh (e dal saggio di Heidegger) fino ai nostri giorni sono cambiate alcune cose, non è così? E che succede se un artista dipinge quelle cose, quelle che state usando in questo momento? Se poi invece di dipingerle, quelle cose, le fotografate?
Beh, ecco… benvenuti, signori, nel mondo della Pop Art.


Claes Oldenburg con insegna stradale esterna a Newmark, New Jersey, 1964. Stampa contemporanea, cm 24 x 35,1.
Courtesy Ken Heyman Archive © Ken Heyman Archive.



Inutile girarci intorno. Per un blog che si intitola Filosofia pop, la mostra che ha inaugurato pochi giorni fa da Camera, a Torino, è una specie di invito a nozze.
Per chi non lo sapesse, la mostra s’intitola infatti Camera Pop e ha per tema i rapporti tra la Pop Art e la fotografia.
Ok, è chiaro che la filosofia pop, di deleuziana invenzione, non ha a che fare così direttamente con la Pop Art. E tuttavia lo spirito trasversale, autenticamente interessato e anti-snobistico nei confronti della cultura popolare è chiaramente un tema comune alle due.


Ugo Mulas, Factory, New York, 1964. Vintage print. Stampa ai sali d’argento su carta baritata, cm 27 x 37. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano/Napoli © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati.



La mostra da Camera, però, non è semplicemente sulla Pop Art, bensì sulla Pop Art e la fotografia. In perfetto accordo con la vocazione fotografica della location, essa indaga quindi quello spazio, quel luogo, per dir così, dove le due, la Pop Art e la fotografia, si incontrano, o si sono incontrate nel corso della storia dell’arte contemporanea.
Il discorso si fa dunque decisamente interessante e attuale. Se non, in certo senso, forse persino più affine, per la sua trasversalità, all’anima della filosofia pop, più ancora che alla Pop Art in senso stretto.


Robert Rauschenberg, Senza titolo, 1988. Acrilico e trasferimento con solvente su ingrandimento fotografico di Gianfranco Gorgoni (1941), stampa su tela, cm 185 x 322. Collezione privata © Robert Rauschenberg by SIAE 2018.



Ma andiamo alla mostra. C’è un’opera di Richard Hamilton, che si intitola What is that makes Today's Homes so different, so appealing e risale al 1956. Quest’opera è considerata da molti come la prima vera e propria opera di Pop Art della storia dell'arte. Cosa interessante: si tratta di un collage, per la precisione un collage di fotografie. Non una fotografia in senso stretto, quindi, ma il prodotto del montaggio di un insieme variegato di immagini fotografiche, ritagliate e poi riassemblate in un nuovo contesto, con quel filo di sana ironia che caratterizza quasi sempre il collage.
In mostra è esposta una versione “upgraded” dello stesso lavoro, che porta invece il titolo Just what was it that made yesterday’s homes so different so appealing? (2004).


Mario Schifano, Futurismo Rivisitato, 1967. Spray, smalto su tela e perspex, cm 110 x 130. Collezione privata. Courtesy Fondazione Marconi, Milano. Fotografia di Fabio Mantegna © Mario Schifano by SIAE 2018.



Questo lavoro di per sé contiene già diversi elementi interessanti per definire il rapporto tra Pop Art e fotografia. Intanto l’argomento, il soggetto (today’s homes, yesterday’s homes), richiama a un interesse per l’arredamento, per il design, e questo ha a che fare con un modo di stare al mondo impensabile prima della fine degli anni Cinquanta del XX secolo.
Ma, soprattutto, si tratta di una fotografia, o meglio di un insieme di immagini fotografiche. La fotografia ha dunque a che fare con il mondo del pop? Decisamente sì. Vediamo come.


Michelangelo Pistoletto, Ragazza che cammina, 1966. Serigrafia su acciaio inox lucidato a specchio, cm 230 x 120
Collezione Intesa Sanpaolo, Gallerie d’Italia - Piazza Scala, Milano.




Non a caso, alla riproduzione/riproducibilità dell’opera d’arte è infatti dedicata un’ampia sezione della mostra da Camera, quella conclusiva.
Per prima cosa, come appare immediatamente, la fotografia permette di fare i conti con il mondo del reale e del quotidiano con un’immediatezza che non era mai stata possibile prima. In secondo luogo, e come diceva il buon Walter Benjamin, la fotografia sdogana la possibilità che l’opera d’arte sia riproducibile e, così, dalla conseguente perdita dell’aura, fino al senso della riproduzione, della riproducibilità e della serie, nascono alcune delle tendenze più proprie dell’arte pop.
Il percorso espositivo che vi conduce va dalla Marilyn di Andy Warhol alle fotografie di Ugo Mulas, fino ai lavori di Ken Heyman, Tony Evans e molti altri.
Fino a un lavoro davvero esemplare. Si tratta di uno specchio di Pistoletto, un lavoro del 1966. Qui, senza mediazioni, la fotografia entra nella vita reale e la vita reale, con noi, suoi abitanti, senza preavviso si trova coinvolta dentro l’opera.

La mostra si snoda, così, come un ipotetico elastico teso tra i due estremi del collage di Hamilton e lo specchio di Pistoletto. Il mondo del pop, con le sue icone e le sue mitologie contemporanee, popola lo spazio intorno a questi due lavori e, tra ironia, sagacia e fantasia al potere, racconta di un nuovo modo di stare al mondo, per certi versi poetico, per certi altri disincantato. Comunque, un modo che vede l’arte più democraticamente diffusa e accessibile a un più ampio numero di persone.


Tony Evans, Peter Phillips, Pop Star, 1963 circa. Modern print, cm 50 x 33.
Courtesy Hulton Archive/ GettyImages © Tony Evans/Timelapse Library Ltd.



E quindi? Che cosa è successo dai tempi delle scarpe di Van Gogh (dipinte) alle fotografie di Mulas? Abbiamo perso qualcosa? O qualcosa abbiamo guadagnato?
Probabilmente la risposta è soggettiva, e molto dipende dal punto di vista a partire dal quale decidiamo di considerare la questione.
Tuttavia, credo sia interessante instillare in chi mi legge un piccolo dubbio.



 Ugo Mulas, Andy Warhol, Philip Fagan, Gerard Malanga, Factory, New York, 1964. Vintage print. Stampa ai sali d’argento su carta baritata montata su alluminio, cm 40 x 50. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano/Napoli © Eredi Ugo Mulas.
Tutti i diritti riservati. Tutti i diritti riservati.



Ma siamo poi così sicuri che l’“apparizione unica di una lontananza” (la definizione di aura per Benjamin) non echeggi, per esempio, anche nel volto truccato di Marilyn ripresa da Andy Wahrol, o nei soggetti delle foto di Mulas, sebbene, magari, in un modo diverso da quanto accadeva per le opere del passato? E se è vero che questo accade, in che modo accade?
Lascio volontariamente la domanda aperta, perché ho la sensazione che comprendere questo, sia almeno uno dei compiti importanti, se non Il compito, di chi fa arte, cultura, critica e filosofia in questi nostri giorni.