I filosofi e la sindrome dell'epoca d'oro. Il tempo degli stregoni di Wolfram Eilenberger




Chi si ricorda Midnight in Paris, quel film bellissimo di Woody Allen in cui il protagonista, scoccata la mezzanotte, finisce nella Parigi degli anni ‘20? Il film gira tutto intorno all’idea che, qualche volta, crediamo che, in una certa epoca del passato, il mondo delle arti e della cultura abbia toccato vette incredibili e oggi inarrivabili, per cui si sogna di tornare a quei tempi e si vive a disagio nella propria epoca. Si chiama “sindrome dell’epoca d’oro” e alzi la mano chi non ne ha mai sofferto.

Ok. Dato che, come cantava Ivano Fossati qualche tempo fa “oggi chiamano filosofi sé stessi i professori di filosofia”, è difficile, per chi è animato da autentica passione filosofica, in questo particolare periodo storico, non soffrire un po’ di nostalgia.
E, beh, certo è esistita un’epoca d’oro anche per il pensiero, e - sarà un caso, o forse no – proprio come nel film di Woody Allen, si tratta degli anni ‘20 dello scorso secolo.

Insomma, per la serie delle cose che ho scoperto girando per librerie, ecco un libro davvero interessante. Sto parlando de Il tempo degli stregoni di Wolfram Eilenberger. (Feltrinelli, 2018).
È un libro veramente bello, appassionante, che parla sì di filosofia, ma lo fa raccontando non semplicemente le teorie, ma le vite di quattro filosofi: Heidegger, Benjamin, Wittgenstein e Cassirer.
Il libro, con tono leggero, ma sempre attento e preciso, racconta le vite di questi pensatori e di come queste si sono intrecciate sia, a volte, tra di loro, sia, soprattutto, con l’evoluzione del loro pensiero.


Martin Heidegger - immagine presa dal web


Il testo non vuole offrire una biografia completa di questi filosofi, ma preferisce concentrarsi sull’arco di tempo che va dal 1919-1929. Come molti sanno, questi furono anni cruciali per la storia della filosofia, nonché per l’arte e la cultura occidentale in generale. Ricordo che Thomas Mann, parlando dei primi anni del Novecento, e più in generale del periodo a cavallo tra XVIII e XIX secolo, ebbe a dire da qualche parte che quella fu l’epoca in cui “iniziarono molte cose che ancora non hanno smesso di iniziare”.
Ho sempre pensato che questa frase di Thomas Mann cogliesse maledettamente il punto. Vuoi perché dice, tra le righe, tutto l’entusiasmo di qualcosa che ha inizio, che nasce; vuoi perché mette in luce come questo inizio continui a presentarsi sempre come… un mero inizio. Come dire che alcune cose continuano a presentarsi a noi come promesse, nella forma di qualcosa che inizia, senza mai giungere a vera maturazione e, quindi, a fare spazio ad altre cose nuove, per una nuova epoca di là da venire.
Su questo punto il sottotitolo della dell'edizione italiana, la dice lunga: le vite straordinarie di quattro filosofi – dice, e poi aggiunge - e l'ultima rivoluzione del pensiero.
L’ultima, dunque. Vi pare poco? (Questo, per inciso, significherebbe che nell’ultimo secolo è successo pochino in ambito filosofico?  Ops, più o meno, potrebbe anche essere vero…)

In ogni caso, Eilenberger riesce, nel suo libro, a comunicare tutta la passione filosofica che ebbe luogo in quell’epoca particolarmente densa di scoperte, che generò alcuni dei capolavori della storia della filosofia di sempre. Ed è così bello che sono sicura che, chi lo leggesse senza conoscere la filosofia, potrebbe addirittura scoprire una passione filosofica latente nel proprio animo.

Insomma, a proposito di sindrome dell'epoca d'oro, in effetti il libro fa venire persino un po' di invidia per questi personaggi, che potevano fare filosofia in un modo di cui oggi noi ci sogniamo più, particolarmente all'interno degli ambienti accademici (che pure già allora si ammantavano di un’immagine decadente e superata, il che è tutto dire).

Nel libro c'è Ernst Cassirer con la sua filosofia delle forme simboliche e la sua visione del mondo che appare così limpida, forse un po’ cieca e restia a prendere atto dei cambiamenti drammatici allora in atto, e tuttavia razionale e democratica. C’è Martin Heidegger, allora astro nascente della filosofia, pieno di baldanza, che si spinge fino al limite del pensiero, e, ahinoi, fino a correre il rischio di cadere nella trappola del nazismo (ma il libro si ferma a raccontare solo fino al 1929, quindi prima della cosiddetta “svolta”). Poi c'è Ludwig Wittgenstein, con il suo modo eccentrico di vivere e di stare al mondo, che con il suo lavoro scatena questioni filosofiche fondamentali, dando luogo alla famigerata diatriba tra analitici e continentali. E, infine, c’è Walter Benjamin, forse personalmente quello che preferisco, perché così incredibilmente attuale. Attuale per i temi che tratta, per come li tratta, ma anche per il modo di vivere e di viversi come filosofo e critico nel mondo della cultura e del pensiero della propria epoca.


Walter Benjamin - immagine presa dal web


Devo dire che, su Benjamin, Eilenberger perde qua e là qualche punto: a volte pare che lo giudichi una specie di buontempone depresso restio a mettere la testa a posto, o qualcosa del genere. Come se l’imborghesimento dello stile di vita fosse per forza da considerarsi la sola strada per la maturità (bah!). Poi Eilenberger pecca anche, manco a dirlo, di un filo di misoginia(*). Le donne protagoniste della storia del pensiero si limitano ad essere mogli o amanti di filosofi. Persino il pensiero della Arendt è descritto in modo del tutto relativo, se non persino reattivo a quello del suo noto amante, Heidegger.
Stupisce che gli ambienti filosofici siano misogini eh? Ah ah, scherzo. Non stupisce affatto. Purtroppo! Ma va beh, andiamo oltre.


Hannah Arendt - immagine presa dal web 


Nonostante questi aspetti, ho apprezzato che il libro sia sapientemente costruito in maniera circolare. Comincia rendendo conto del noto convegno di Davos del 1929, a cui presero parte, tra gli altri, Heidegger e Cassirer. Poi passa a raccontare ciò che era accaduto nel decennio precedente, e che aveva condotto i due pensatori alle questioni filosofiche dibattute in quel contesto.

Fin dal titolo (in lingua originale, intendo, Zeit der Zauberer. La traduzione ahimé perde il riferimento) è chiara l’intenzione di Eilenberger di costruire una sorta di parallelo tra l’immagine dei filosofi riuniti a Davos per discutere, con il romanzo La Montagna Incantata (Der Zauberberg, appunto) di Thomas Mann, che pure fu pubblicata almeno cinque anni prima del fatidico convegno. Ho trovato il paragone molto divertente (tra l’altro, personalmente ho amato molto la cosa, anche perché io stessa avrei voluto laurearmi proprio con una tesi su Heidegger e La Montagna Incantata, ma Gianni Vattimo, mio relatore di tesi, non mi incoraggiò a proseguire, purtroppo.)


Un'opera di street art dedicata a Wittgenstein - immagine presa dal web


Le cose da dire su questo libro, e sui filosofi che ne sono i protagonisti, sarebbero tantissime. Mi limito perciò a consigliarne senz’altro, in primo luogo, la lettura. E poi vorrei sottolineare un aspetto, che tra tutti mi pare il più importante.

Alla fine, Eilenberger fa filosofia, qui, a modo suo. Lo fa narrando, creando immagini, dando vita a un racconto, con tanto di “scena madre” al convegno di Davos e di particolari privati e personali dei protagonisti. Così dalla persona del filosofo, dalla sua vita e dalle sue scelte, noi capiamo la filosofia.

Che cosa accadrebbe se facessimo lo stesso con i filosofi, o dovrei dire professori di filosofia, dei giorni nostri? A che soluzioni potremmo arrivare?
La questione è del tutto stimolante, mi riprometto di pensarci.





(*) Piccolissimo esempio, che però fa ridere, sui filosofi e la misoginia. Ricordo che, quando io ero all'università si diceva che i ragazzi di filosofia avrebbero dovuto sposare le ragazze di lettere, per garantirsi una sorta di "supremazia" (!!). Alle donne di filosofia, invece, erano consigliati fidanzati ingegneri. Ora, a pensarci, questo rivela di certo un problema dei filosofi con le donne, ma anche con gli ingegneri :D!