Donna che guarda attraverso una breccia del muro di Berlino, nel novembre del 1989. Immagine scaricata dal web ©Thomas Imo/Photothek via Getty Images |
Mentre scrivo, in Italia si sta consumando una grave crisi istituzionale. Tutti concordano che queste siano ore buie, anche se alcuni vedono la ragione in un fatto e molti altri in un altro.
Non è mia intenzione qui scendere nel merito della questione politica, ma una considerazione tutta filosofica e vicina alle materie che ho approfondito nel mio percorso personale di studi, mi sento di farla.
Che il postmoderno fosse finito lo sapevamo da un pezzo, con buona pace di chi c'è rimasto male, anche se questo non significa che un "nuovo realismo" sia la soluzione - specie se chi parla di nuovo realismo poi vive intellettualmente, di fatto, fuori dalla realtà, ma questa è un'altra storia (!).
Invece, in questi giorni, un pensiero mi frulla per la testa con sempre maggiore insistenza. Vi ricordate quando negli anni novanta si parlava di fine della storia? Ecco, oggi è questo quello che io vedo: la storia ha finito di finire. Anzi forse è già ricominciata, e faremmo bene a rendercene conto.
Ieri, mentre si avvicendavano a parlare le varie figure politiche, un noto giornalista televisivo continuava a commentare i fatti che occorrevano in quel momento sottolineando come tutto fosse, a suo parere, questione di narrazione. Uau, fantastico, negli anni novanta avrebbe fatto centro.
Ma oggi non possiamo più pensare alla realtà come a un insieme di narrazioni possibili, magari anche tra loro contraddittorie, tra cui possiamo scegliere così come si sceglie un vestito nell'armadio. Ora qualcosa è cambiato. Che ci piaccia o meno, è tornata la storia.
Che cosa significa? Significa che ci sono scenari che si modificano, che non sono prevedibili, ma che chiedono attenzione e partecipazione.
A differenza di quanto voleva la visione postmoderna della realtà, non stiamo (più) assistendo alla ripetizione magari irrilevante, alla una copia (di una copia) di qualcosa avvenuto in un passato lontano da cui possiamo considerarci, bene o male, ormai emancipati.
Che ci piaccia o meno, non possiamo più considerarci nani comodamente seduti sulle spalle di rassicuranti giganti, o epigoni irresponsabili, che possono passare il tempo a gingillarsi con i resti di un mondo che è stato, tanto ormai non può capitare più nulla di realmente grave o importante. Oggi tocca a noi (noi tutti, qualsiasi siano le nostre idee).
Per qualcuno sarà una buona notizia, per altri meno. Ma il cambiamento è già qui e la realtà - o meglio, la storia - è proprio questa, come la vediamo, se la vediamo. Quella che ci bussa alle porte e ci chiede, con insistenza, di essere prima di tutto vista e poi vissuta.
Sarà un bene o un male? Non lo so con certezza, io credo un bene. Ma non è questo il punto.
Scegliere una narrazione diversa, più comoda e rassicurante, o anche solo più simile a quelle a cui siamo abituati, non sarà d'aiuto.
Chi non comprende questo è cieco. Se lo fa in buona fede (come molti) deve però aprire gli occhi, perché anche l'innocenza, parafrasando Montale, a volte può diventare una colpa. E chi la commette è un po' come se si fosse trasformato in una statua di sale, come la moglie di Lot, senza neanche essersene accorto.