Sohei Nishino , courtesy @ l'artista |
Dodici modi di dire spazio. Dodici modi per dire spazio con la fotografia.
Quest’anno il prestigioso premio internazionale di
fotografia Prix Pictet ha scelto come sede italiana della mostra dei finalisti le
sale di Camera Centro Italiano per la fotografia, a Torino.
È una vera fortuna perché la mostra è davvero bella. Quest’anno
il concorso era incentrata sul temo dello spazio declinato nelle sue varie e
possibili accezioni, ma sempre con una particolare attenzione (come vuole lo
spirito del premio) alla sostenibilità, l’ecologia, il rapporto essere umano –
territorio.
La mostra si articola intorno alle opere di molteplici
autori. Ogni immagine è una scoperta, uno stimolo alla riflessione.
Alcune immagini mi sono piaciute e mi hanno interessato più
di altre e confido di utilizzarle in un prossimo workshop sul tema “Fotografare
la città” in programma per giugno presso il Centro Phos, sempre a Torino (però
non dico quali, lascio la sorpresa 😉 ). Ma ho trovato profondi e interessanti
tutti gli autori, e vorrei citarli tutti.
Non potendo per ragioni di spazio (!!) approfondire ciascun
lavoro, mi limiterò a una breve frase per ciascuno degli autori, sperando di
rendere l’idea del perché ho trovato il progetto, di volta in volta,
interessante. Perciò mi sono divertita ad affiancare a ciascun autore la sua
propria definizione di spazio.
Lo spazio dello scarto
- Mandy Barker (Regno Unito). Vita e
plastica in fondo all'oceano si fondono in uniche, strane, impossibili creature.
Il senso del lavoro è farci capire che sarebbe divertente, se non fosse
tragico.
Beate Gütschow, courtesy @ l'artista |
Lo spazio inventato
- Beate Gütschow (Germania). Costruisce immagini di edifici e monumenti che
non esistono nella realtà, ma che potrebbero, di fatto, far parte delle nostre città. Così facendo
esplora la dialettica tra possibilità e realtà, essenza e apparenza.
Lo spazio dei corpi
– Richard Mosse (Irlanda). E se potessimo fotografare la vita, il calore dei
corpi? Mosse lo fa, e così dà vita a paesaggi insospettati e pure verissimi.
Lo spazio chiuso –
Saskia Groneberg (Germania). Le piante negli uffici sono come noi. Esseri naturali
costretti a una vita che non sempre lo è (naturale? o vita? Fate voi).
Rinko Kawauchi, courtesy @ l'artista |
Lo spazio del rito
- Rinko Kawauchi (Giappone). C’è un luogo del Giappone dove per far coltivare
la terra si crea il fuoco. Il paesaggio allora si fa magico, potente. Una vera
celebrazione degli elementi.
Lo spazio privato (o
la privazione dello spazio) - Benny Lam
(Hong Kong) mette in scena i luoghi della vita quotidiana alla periferia di
Hong Kong, dove l’opulenza della città lascia il posto al degrado e dove il concetto
di casa si applica, inaspettatamente, a luoghi incredibilmente angusti.
Lo spazio tra due luoghi
– Munem Wasif (Bangladesh). Chi ha inventato i confini? Chi li ha disegnati o
decisi? La terra al confine tra due stati invece tace, e somiglia a un
paesaggio lunare.
Lo spazio passo dopo
passo – Sohei Nishino (Giappone). Immaginate di racchiudere in un solo
colpo d’occhio tutte le cose che vedete, i paesaggi, le figure, passo dopo
passo, lungo tutto il corso del Po oppure passeggiando per Londra. Non è
meraviglioso?
Lo spazio promesso (e
negato) - Sergey Ponomarev (Russia). Sui
barconi si cerca di varcare il confine, giungere a un altrove denso di promesse.
Ma le promesse non sono quasi mai mantenute e il dramma si ripete.
Thomas Ruff, courtesy @l'artista |
Lo spazio siderale
(e quello interiore) -Thomas Ruff
(Germania). Se potessimo vedere i paesaggi di Marte fotografati dalla Nasa come
guardiamo il mondo dal finestrino di un normale aereo di linea è questo lo
spazio che vedremmo. Bello, misterioso, infinito. Sempre, anche, interiore.
Lo spazio della lotta
- Pavel Wolberg (Russia). Fotografare la guerra è imparare a vederla. Le
immagini non la tradiscono, ma la portano alla coscienza nel modo più spietato,
proprio perché continuano a mostrarci, per paradosso, la bellezza dei luoghi.
Lo spazio del respiro
- Michael Wolf (Germania) fotografa la gente stipata nella metropolitana di Tokyo
all’ora di punta. E così, direi quasi con tenerezza, fotografa anche l’angoscia
e l’alienazione che accompagna la quotidianità di molti.