Italo Cremona - Ritratto di Carlo Mollino attraverso il piano in cristallo della mensola d’ingresso in Casa Miller, Torino 1936 c.a.
(Politecnico di Torino, sezione Archivi biblioteca Roberto Gabetti, Fondo Carlo Mollino) |
Da Camera, a Torino, fino a maggio, è in corso una mostra dedicata
a Carlo Mollino fotografo. Ci sono immagini di documentazione dei suoi lavori
di architetto, insieme alla sua precisa ricerca in ambito fotografico e ci sono
anche diverse fotografie di nudi, pervase di erotismo neanche troppo sottile.
Amo le opere di Carlo Mollino spontaneamente. Questo vale
tanto per l’architettura, quanto per le fotografie.
Credo sia per le linee curve, per l’inventiva, per quel richiamo
costante, anche se non sempre esplicito, al surrealismo, per la sua libertà
espressiva che va avanti e indietro. costantemente dal mondo reale a quello
fantastico, e ritorno.
Carlo Mollino – Ritratto (senza titolo), 1956-1962 c.
(Politecnico di Torino, sezione Archivi biblioteca Roberto Gabetti, Fondo Carlo Mollino) |
Riguardo le architetture la percezione è molto chiara. È una
sensazione particolare che provo ogni volta che metto piede al Teatro Regio, o
alla Camera di Commercio di Torino. Mi sento immediatamente a casa, a mio agio.
Come se fossi nel mio elemento.
È la sensazione esattamente opposta a quella che mi prende
quando vado al Lingotto, sempre per restare a Torino. Lì sento il non-luogo, l’alienazione,
voluta. Il risultato è che mi affatico, mi stanco. Là il luogo mi respinge,
dove invece, quando l’architetto è Mollino, mi accoglie. Come se il luogo fosse
mio.
Mi sono chiesta perché è ho notato che, per Mollino, due
elementi dominano tutto: le linee curve e la creazione di universo fantastico,
pieno di rispondenze, di armonie sinuose, dove il piacere e la bellezza si
incontrano senza mai un tono o un colore di troppo.
Sono luoghi dell’anima, su questo non ho dubbi. Questo per
quanto riguarda l’architettura. E per le fotografie?
Ma che cos’è, qui, l’architettura?
Carlo Mollino e Riccardo Moncalvo - La Società Ippica Torinese da corso Dante, fotomontaggio, 1941.
(Politecnico di Torino, sezione Archivi biblioteca Roberto Gabetti, Fondo Carlo Mollino) |
Secondo lo psichiatra/filosofo James Hillman l’arché (il principio) dell’architettura è
il riparo. Il riparo non è qualcosa di soltanto umano, ma anche animale. Gli
uccelli fanno il nido, persino gli insetti si creano il luogo dove ripararsi
dalle intemperie, dove sostano e si riposano. Vi sono però dei luoghi, in
natura, in cui si rivela qualcosa di più oltre la mera utilità e funzionalità, luoghi,
sempre secondo Hillman, capaci di destare delle potenze che “rendono la vita
possibile e la arricchiscono di valore, desiderio, intenzionalità oltre la
funzionalità” (J.Hillma, L’anima dei luoghi, Rizzoli 2004).
Luoghi del genere, prosegue Hillman, furono per esempio, nei
tempi più antichi, una sorgente, lo spazio raccolto sotto un albero, l’ingresso
della tana di un serpente o un luogo qualunque in linea con il sole. Fin dall’antichità
gli esseri umano hanno segnato questi luoghi per differenziarli dagli altri con
fossati, altari, pietre o altro. Lo facevano per dire agli altri esseri umani che,
ignari, fossero passati di lì che quello era un luogo adatto per pregare, per
danzare, sacrificare o propiziare le potenze dell’universo. Ed ecco che nasceva
un luogo magico: non solo un luogo dove trovare riparo per il corpo, ma
qualcosa che parlava all’anima, allo spirito, una porta su un mondo altro, che
però era soprattutto interiore.
Non bastava però porre sul luogo magico un segno qualunque,
una pietra a caso. La potenza da risvegliare richiedeva una cura particolare,
un’attenzione, un saper fare. Insomma, una tecnhe.
Carlo Mollino - Casa Devalle, Torino 1939-1940.
(Politecnico di Torino, sezione Archivi biblioteca Roberto Gabetti, Fondo Carlo Mollino) |
Così gli esseri umani hanno scoperto che non basta fare le cose, ma che c’è un
modo per farle e che questo modo è solo legato all’apparenza esteriore, ma va ben
più in profondità. Perché se non stiamo parlando di uno spazio qualunque, ma di
un luogo che è anche una porta, un oggetto/luogo-soglia sull’infinito (mi viene
in mente il portkey di Harry Potter, per capirci) non farà lo stesso se è bello
o brutto, se è fatto con cura oppure no. Quelle potenze di cui si diceva prima,
quelle che fanno ballare e pregare, non vengono a trovarci dovunque, ma solo
dove c’è armonia. Anche i simboli sono importanti. Ogni cosa deve essere posta
in armonia con le altre e con il loro insieme, in qualche modo, per assonanza o
dissonanza, non importa. L’importante è che il percorso sia guidato, curato
come un rito. Fino a fare di quel luogo una magia. Fino a trasformarlo in una “soglia”,
appunto, verso un mondo altro.
Se questo vale per l’architettura, che ne sarà delle
fotografie?
Le fotografie sono immagini e anch’esse, come i luoghi, sono
frutto di una composizione, di una techne. Nello stesso tempo, però, sono anche
luoghi in cui trovare un conforto, un riparo, un antidoto contro tutto ciò che
nel mondo non è armonia.
C’è un modo di concepire l’architettura che potrebbe farne il
simbolo di tutte le arti. Tutte le arti hanno una struttura, un’architettura, appunto,
che ne scandisce i movimenti: vale per la musica, per la letteratura, e tanto
più vale per le immagini. E in particolare per queste immagini.
Ecco perché le fotografie di Mollino sono così belle. Sono
anch’esse architetture, di quel tipo di architettura che offre riparo e apre la
porta al mondo dell’altrove, della magia, della bellezza, delle corrispondenze
e delle linee curve.
La mostra proseguirà fino al prossimo 13 maggio. Tutte le
info sul sito di Camera. Centro Italiano per la fotografia