Revolution! (La memoria non è una cosa per nostalgici)

'Revolution', Alan Aldridge/Harry Willock/Iconic Images, 1968 



Quando ero una ragazzina era il tempo dei paninari e io questa cosa la vivevo malissimo. Per caso, o per destino, ero entrata presto in contatto con la musica di altri tempi, dai Beatles in giù, e, a mano a mano che crescevo, nel bel mezzo dello scialare euforico e dilagante degli anni ottanta, tra le atmosfere prodighe e spietate, selvaggiamente capitalistiche della Milano da bere (io ero a Torino, ma fa lo stesso), cresceva dentro di me la sensazione di essermi persa qualcosa.
E così, mentre intorno a me i miei coetanei pensavano a quale delle loro timberland tutte uguali indossare, io imparavo a conoscere le lotte per i diritti e per la pace, mentre cominciavo ad amare le sperimentazioni di John Lennon, i cartoni pop dei Beatles, Tommy degli Who e Blow Up di Antonioni.

                                                                                   Beatles a casa di Brian Epstein, Linda McCartney, 1967
                                                                     © MPL Communication. Riprodotta con il permesso di Paul McCartney


Sì, lo so, si chiama nostalgia dell'epoca d'oro, o almeno così la chiama Woody Allen nel mitico Midnight in Paris, di qualche anno fa, dove il protagonista rimpiangeva l'ambiente culturale degli anni venti e sognava (ma forse non era un sogno) di viverci veramente. Ecco, io negli anni di epoche d'oro ne ho identificate almeno una decina: gli anni venti del novecento, certo, con Picasso, Hemingway e il Jazz. La belle époque, il Rinascimento. 
E ovviamente gli anni sessanta e settanta. Questi soprattutto per la musica (ah!), per l'arte, e la voglia di cambiare il mondo che, a quanto si racconta, si respirava intorno. 

Harlem Peace March (New York City, 1967)’, 1967
Builder Levy
© Victoria and Albert Museum

Bene, per chi volesse approfondire il discorso, alla Fabbrica del Vapore, a Milano, è in corso fino al prossimo aprile una mostra sui mitici anni sessanta, gli anni in cui si credette possibile - e di fatto si operò - una rivoluzione culturale profonda, che modificò radicalmente i costumi e il modo di vivere di tutto il nostro mondo occidentale, e non solo.
Il titolo è tutto un programma: Revolution. Musica e ribelli 1966 - 1970 dai Beatles a Woodstock.
La mostra, organizzata in primis dal Victoria & Albert Museum di Londra, è curata da Victoria Broackes e Geoffrey Marsh, insieme con Fran Tomasi (quello che portò in Italia i Pink Floyd!), Clara Tosi Pamphili e Alberto Tonti. Il catalogo Skira e le audioguide sofisticatissime ci fanno da guida in un mondo da cui forse, chissà, potremmo piacevolmente e proficuamente lasciarci ispirare.

Lennon, Kaleidoscope Eyes, 1967, ideato da Larry Smart
© Private Collection/Bridgeman Images

Certo, non si può mai, e non ha mai senso, tornare indietro. Eppure dal passato, soprattutto quando è culturalmente elettrizzante e pieno di energia, si può trarre ispirazione. Non diceva Walter Benjamin (parlando di tutt'altro) che, infondo, il passato lo creiamo noi, nei nostri ricordi e nelle immagini della nostra mente? Non serve la memoria a creare il presente, donandogli basi solide e una costante ispirazione?
Ovviamente ci sarebbe molto da approfondire su questo discorso, e spero di avere occasione di farlo - ma so che Didi-Huberman mi darebbe ragione!
Insomma, la memoria, non è mica una cosa per nostalgici, o almeno non solo.