Chi si ricorda Torino capitale dell'arte contemporanea? Fine dell' âge d'or

@Julien Berthier - immagine scaricata dal web


Leggo dei licenziamenti alla Fondazione Torino Musei, in questi giorni, mi arrivano mail di musei che raccolgono fondi nelle piazze come mendicanti, e mi viene da pensare.
Quando cominciai a occuparmi di arte contemporanea in modo attivo, intendo non soltanto come studi, ma confrontandomi con il mondo delle mostre, dei musei e delle gallerie, era la fine degli anni novanta, l'inizio del duemila. Insomma, era quella specie di âge d'or della cultura e dell'arte nel capoluogo sabaudo, quando si vedeva con ragione in Torino la capitale dell'arte contemporanea.
Per capirci: c'era una mostra ogni sera, sempre interessante, il Comune e la Regione facevano a gara per organizzare ciascuna, ogni anno, una rassegna per i giovani artisti emergenti e nei musei cittadini ti capitava di vedere cose imperdibili a livello internazionale o addirittura storico, come Nam June Paik, per dirne uno a caso (e magari nemmeno il più importante), e le mostre curate da Jeffrey Deitch.
Nel giro di poco più di un decennio di tutto questo è rimasto praticamente nulla. Dopo un ventennio o quasi, non ne parliamo. E il deserto, parafrasando Nietzsche, ancora cresce.
Se dovessi scrivere chi sono i colpevoli di questa situazione, o almeno i responsabili, dovrei parafrasare però piuttosto Pasolini che Nietzsche. Io so, come sappiamo tutti, che c'è chi ci ha campato e ci campa, facendosi i soldi, il nome, magari anche la carica, creando e alimentando quotidianamente quelle specie di mafiette che rendono asfittico e sterile ogni territorio intellettuale e creativo, illudendo giovani e meno giovani con il solo scopo di capitalizzare il più possibile denaro e potere.

Oltre a questi poi, ci sono anche dei responsabili che non sanno di essere responsabili: semplici opportunisti non intelligentissimi, che hanno alimentato e ancora alimentano questi meccanismi con la speranza di ingraziarsi un potere che però, come tutti i poteri, non ha - e non aveva - intenzione di dispensare alcune grazie. Io so, ma anch'io, come nel celebre passo di Pasolini che oso citare, non ho né le prove, né gli indizi. 

Quindi, che fare? Beh io credo che non bisogna arrendersi e continuare a lavorare. So che sa di poco detto così, ed è poca cosa, in effetti, la sola prospettiva di rimboccarsi le maniche e combinare qualcosa. Ma non vedo altra via. Lavorare e inventare, non cercando di ripristinare quello che fu - anche perché verosimilmente in quello che fu c'erano anche i germi di quello che oggi accade - ma orientandosi verso nuove soluzioni, iniziative, realtà. Guardare oltre.
Tenendo presente che un mondo, un periodo, si è concluso e che ora bisogna ricominciare da capo.

Certo che però, se a lavorare e a guardare oltre saranno sempre gli stessi personaggi che hanno affondato la barca, sarà difficile trovare nuove soluzioni che non vengano anch'esse fagocitate da queste specie di Pantagruel senza scrupoli. E - occhio - non sto parlando di politica. C'è anche quello, come problema, ma non è il primo, onestamente, perché il vero guaio sono quei personaggi pronti a cambiare maglia quando serve.