C’era una volta,
ma secondo me c’è ancora, un paese lontanissimo da dove sei tu che mi stai
leggendo, talmente lontano nel tempo e nello spazio che devi chiudere gli occhi
molto stretti per riuscire a immaginarlo. Beh, in questo paese lontanissimo i
cieli erano di corallo, la terra blu e le nuvole volavano ad altezza d’uomo,
accarezzando i volti dei bambini contenti e confondendo i pensieri degli adulti
frettolosi e indaffarati.
Quando pioveva, le gocce di pioggia bagnavano i visi di tutti come lacrime e lavavano via i cattivi umori e i brutti ricordi. Con la neve, il silenzio prendeva ognuno nello spirito, e ogni persona si sentiva eterea e leggera come un coriandolo che svolazza a carnevale.
Quando pioveva, le gocce di pioggia bagnavano i visi di tutti come lacrime e lavavano via i cattivi umori e i brutti ricordi. Con la neve, il silenzio prendeva ognuno nello spirito, e ogni persona si sentiva eterea e leggera come un coriandolo che svolazza a carnevale.
Venne un giorno
d’inverno, in cui il re di questo paese si ammalò. Il medico di corte disse che
solo la pianta della felicità poteva guarirlo, ma, dato che era un medico
piuttosto anziano e per di più un po’ bislacco (pensate che andava sempre in
giro con in testa un cappello a cilindro rosso come il rubino e un grosso
orologio a cipolla appeso al collo, ma proprio grosso, grande come il suo gilet), nessuno
volle credergli. Così vennero chiamati altri medici, da tutte le parti del
mondo, ma nessuno di loro riuscì a guarire il re. Perciò, alla fine, anche se a
malincuore, i cortigiani si trovarono costretti a credere alla diagnosi del
medico di corte, il quale, molto soddisfatto, disse che la pianta della
felicità cresceva solo in un luogo segretissimo, che nessuno conosceva, neppure lui. Gli chiesero allora di spiegarsi meglio, ma lui non rispose più
nulla, anzi, accampò una scusa e disse che doveva scappare via di corsa. Ma forse non era una scusa, perché il suo orologio a cipolla
prese a suonare la sveglia e non smetteva più e lui se ne andò via saltellando. Chissà che aveva da fare!
Fatto sta che
furono convocate le figlie del re perché decidessero come fare per prendere questa famosa pianta della felicità. La regina
infatti non si trovava più e le malelingue dicevano che era fuggita con il
medico. Ma questa è un’altra storia.
Allora, c’erano
queste tre figlie, che erano una più bella dell’altra (l'ultima però, era la più bella di tutte) che furono subito convocate.
Quando le tre principesse sentirono quello che aveva detto il medico ebbero reazioni molto diverse. Le prime due si misero a ridere come delle matte e, ridendo e scherzando, si chiusero ognuna nei propri appartamenti e non ne vollero sapere di andare a cercare il posto segretissimo dove cresceva la pianta della felicità. L’ultima invece ci pensò su e poi decise che avrebbe provato a cercarla.
Quando le tre principesse sentirono quello che aveva detto il medico ebbero reazioni molto diverse. Le prime due si misero a ridere come delle matte e, ridendo e scherzando, si chiusero ognuna nei propri appartamenti e non ne vollero sapere di andare a cercare il posto segretissimo dove cresceva la pianta della felicità. L’ultima invece ci pensò su e poi decise che avrebbe provato a cercarla.
Tutti la
osannarono e le fecero tanti complimenti, tranne quelli gelosi, che non avevano
il coraggio di cercare la pianta delle felicità e allora, senza nemmeno provare
a cercarla, preferivano dire che era tutte fandonie e quella pianta non
esisteva per niente.
La terza principessa, che si chiamava Maristella, però non ascoltò né i complimenti né
le critiche, ma fece le valige, montò sul suo cavallo alato, che si chiamava
Eliazar, e partì alla ricerca di quel
luogo segretissimo che non si sa dove si trovi.
Maristella vagò a
lungo e a lungo, sopra e sotto le nuvole. Dopo un po' però si sentì stanca ed affamata, così chiese ad
Eliazar di atterrare in un bosco lì vicino e, trovato un cespuglio di mirtilli e frutti di bosco,
ne mangiò più che poteva. Poi, sazia, si addormentò.
Mentre dormiva
qualcosa di meraviglioso accadde. Il bosco si popolò di fantastiche creature.
Uccelli del paradiso, fate, folletti e animali magici come gli unicorni e le
pantere a pois gialli e rosa. Quando Maristella di svegliò non sapeva se stava
sognando e chiese a Eliazar se anche lui vedeva quel che vedeva lei. Lui nitrì
in un modo che poteva solo dire di sì e quindi lei si convinse.
Stava lì tutta meravigliata,
quando toc toc si sentì bussare su una spalla. Si voltò, ma non vide nessuno.
Dopo qualche secondo di nuovo: toc toc.
- Ma chi è? –
disse Maristella
Una pianta alta
con uno stelo molto spesso e un fiore rosso simile a un melograno si portò una
foglia alla bocca e tossicchiò
– Eehm sono io!
– Eehm sono io!
Maristella, che
non aveva mai visto una pianta con la bocca, fece un salto e andò a sbattere
contro Eliazar, che nitrì spaventato.
- Una pianta? Una
pianta che parla?
- Beh, che c’è di
strano? Siamo o non siamo in una favola? Nelle favole succedono queste cose!
Maristella ci
pensò su e si convinse.
- Uhm... fammi pensare... Non è che per
caso sei tu la pianta della felicità?
- Sì tesoro, in
persona! Mi stavi cercando?
- Proprio così! Se
non porto un po’ di… te a mio padre, morirà!
La pianta sorrise,
non si sa bene come. Poi si staccò una foglia grande come un foglio a4 e la
lasciò cadere ai piedi di Maristella.
- Eccoti qui, dalla a tuo padre. Poi però fai
una tisana con questa foglia e bevine un po’ anche tu tutte le mattine per un
anno. Vedrai che sarai felice per tutta la vita! Attenta però, perché se ti
dimentichi di bere anche un solo giorno, poi dovrai imparare daccapo un po’ di cose prima di capire di nuovo che cos’è la felicità.
Maristella
assentì, sicura di sé. Disse grazie e fece un inchino, poi prese la foglia,
montò Eliazar e i volò via verso il suo regno lontanissimo.
Facci caso però: il regno segreto dove stava la pianta, era lontanissimo dal regno lontanissimo, perciò la pianta non è poi tanto lontana da dove sei tu!
Ma non divaghiamo. Maristella volò per molte ore e poi giunse al castello, salvò il re suo padre e fu accolta come un’eroina da tutti quanti, tranne le sorelle un po’ peppie, ma c’era da aspettarselo. Anche sua madre mandò una cartolina dalle Hawaii, con i saluti del medico di corte che forse casualmente si trovava anche lui da quelle parti.
Facci caso però: il regno segreto dove stava la pianta, era lontanissimo dal regno lontanissimo, perciò la pianta non è poi tanto lontana da dove sei tu!
Ma non divaghiamo. Maristella volò per molte ore e poi giunse al castello, salvò il re suo padre e fu accolta come un’eroina da tutti quanti, tranne le sorelle un po’ peppie, ma c’era da aspettarselo. Anche sua madre mandò una cartolina dalle Hawaii, con i saluti del medico di corte che forse casualmente si trovava anche lui da quelle parti.
Da quel giorno in
poi, tutte le mattine Maristella beveva la sua pozione ed era felice, tanto che
conobbe un principe e si fidanzò con lui.
Un giorno però il principe, che non sapeva nulla della pianta della felicità, volle assaggiare la tisana misteriosa e senza pensarci troppo si scolò quella di Maristella. Non trovando la sua tisana magica, Maristella soffrì molto e si arrabbiò, ma poi pensò che un solo giorno non poteva essere grave e non ci pensò più. Ma dimenticò di bere ancora il giorno dopo e quello ancora, finché un anno passò.
Un giorno però il principe, che non sapeva nulla della pianta della felicità, volle assaggiare la tisana misteriosa e senza pensarci troppo si scolò quella di Maristella. Non trovando la sua tisana magica, Maristella soffrì molto e si arrabbiò, ma poi pensò che un solo giorno non poteva essere grave e non ci pensò più. Ma dimenticò di bere ancora il giorno dopo e quello ancora, finché un anno passò.
Allo scadere
dell’anno, un giorno d’inverno, Maristella si svegliò e fece per uscire dal suo
letto di fiaba, come tutti i giorni, ma non ci riuscì. Nonostante gli altri
stessero benissimo, lei sentiva un freddo pungente attraversarle le ossa ed era
un freddo così freddo, ma così freddo, che fu costretta a
rimanersene sotto le coperte per molti giorni.
Quando finalmente
si alzò provò a chiamare aiuto, ma si accorse di essere diventata muta. Non
sapendo che fare si mise a piangere disperatamente e pianse, pianse, pianse come mai
nessuna persona al mondo aveva pianto. Pianse per sette lunghissimi anni, durante i
quali il principe se ne andò a cercare miglior fortuna con
una donna, diceva lui, meno complicata. Alla fine le lacrime le pulirono il volto,
cambiandole quasi i lineamenti, e le caddero sulla lingua e poteva parlare di
nuovo.
In cambio della parola si accorse però di aver finito tutte le lacrime del mondo e i suoi occhi erano diventati secchi come sassolini di ghiaia così che lei era costretta a tenerli chiusi e non vedeva più nulla. Allora si mise a cantare una canzone così dolce, e cantò, cantò, per sette lunghi anni, finché la voce non le divenne rauca. La canzone era così dolce, che Maristella si commosse e una lacrima spuntò dal suo viso, così dopo sette anni, lei ci vedeva di nuovo.
In cambio della parola si accorse però di aver finito tutte le lacrime del mondo e i suoi occhi erano diventati secchi come sassolini di ghiaia così che lei era costretta a tenerli chiusi e non vedeva più nulla. Allora si mise a cantare una canzone così dolce, e cantò, cantò, per sette lunghi anni, finché la voce non le divenne rauca. La canzone era così dolce, che Maristella si commosse e una lacrima spuntò dal suo viso, così dopo sette anni, lei ci vedeva di nuovo.
Ora che poteva di nuovo camminare, guardare le cose e parlare andò a cercare Eliezer, il suo cavallo alato. Erano passati più di vent’anni. Il principe era scappato da tempo e le sorelle peppie avevano lasciato il regno da molti anni. Il re era morto e la regina era fuggita, così tutto era in preda alla confusione e le nuvole avvolgevano ogni cosa e persona come una costante e densa nebbia che non faceva vedere né sentire più nulla.
Maristella si mise
a cavalcare il suo Eliezer e volò per un po’. Vide il suo regno dall’alto e di
nuovo pianse, perché la nebbia avvolgeva tutto e non ci si capiva più niente.
Poi venne la notte
e lei chiese ad Eliezer di scendere di nuovo in un bel bosco, dove stavolta non c'erano mirtilli. C’era invece una
casetta vuota, ma accogliente, che sembrava aspettare solo lei. Là dentro trovò
da mangiare, da lavarsi e riposarsi. C’era anche un po’ di biada per Eliezer.
Non c’era il wifi, questo è vero, ma non faceva nulla, perché tanto Maristella
non aveva portato con sé né lo smart phone né il tablet e voleva starsene un po’
sola con sé stessa e meditare che cosa doveva fare per salvare il suo regno
dalla nebbia e dalla confusione. Si sentiva sola e stanca, ma mangiò di gusto
quello che trovò nella casetta e poi si addormentò. Passarono diversi giorni,
forse mesi, e Maristella restò lì, sola con il suo cavallo alato.
Una notte si
addormentò molto presto e dormì profondamente. Sognò di fate, maghi e folletti. La svegliarono le note felici del canto di un uccellino,
posato sul davanzale della sua finestra. Era giorno e lei si alzò. Davanti al
morbidissimo letto dove aveva dormito come una regina, c’era uno specchio. Lei
si alzò e lo toccò con il dito.
Allora si accorse
che accanto allo specchio c’erano dei google glasses e li indossò. Subito nella
stanza comparvero le proiezioni di sua madre e del medico bislacco, che ormai
vivevano da anni alle Hawaii, dove avevano aperto un chiosco e vendevano
piadine.
- Tesoro,
Maristella! Sei tu? Finalmente vedi questo messaggio…
Disse la voce
della madre. Maristella fece un salto su se stessa e quasi non cadde di nuovo
sul letto. – Mamma! – disse – ma come facevi a sapere che io… - poi tacque,
ricordandosi che si trattava di un messaggio registrato.
- Tesoro – diceva
la mamma – come vedi qui alla Hawaii io sto alla grande e me la cavo veramente
bene! Sono così contenta di vedere che finalmente stai bene anche tu! Ti mando
un bacio enorme!-
Fece per
andarsene, incamminandosi verso il mare, dove il medico bislacco l’aspettava
suonando la chitarra alla luna, ma poi si voltò e aggiunse: - Un’ultima cosa!
non essere triste, figlia mia, ma guardati un po’ allo specchio…
Maristella si voltò verso lo specchio e non vide nulla. Sua madre però aggiunse – Ma no, no, senza gli occhiali! E togliti la camicia da notte, vedrai che sorpresa!
Maristella si voltò verso lo specchio e non vide nulla. Sua madre però aggiunse – Ma no, no, senza gli occhiali! E togliti la camicia da notte, vedrai che sorpresa!
Il messaggio finì
e la mamma sparì ai suoi occhi, inghiottita dal chiaro di luna delle Hawaii.
Maristella tolse
gli occhiali. Si sentiva quasi più sola di prima, perché si rese conto che non
parlava con nessuno da davvero tanto tempo. Però chissà perché adesso non le dispiaceva
più di tanto.
Allora si ricordò
delle parole della madre. Andò davanti allo specchio e si spogliò. Si vide
nuda, più vecchia di quando aveva iniziato la sua avventura, certo, ma ancora
molto bella.
Poi sentì bussare: toc toc. Non sapeva da dove venisse quel suono,
ma poi guardò meglio e si accorse che veniva dal suo petto. Fecando attenzione, vide che proprio lì, all’altezza del cuore stava germogliando una
piantina, che si vedeva appena spuntare sotto la pelle.
La conosceva bene, perché l’aveva già vista una pianta così, tanti tanti anni fa. Era la pianta della felicità, ed era nata proprio nel suo cuore. Maristella fece un gran sorriso. Si rivestì, sellò il suo fido Eliezer e volò via, verso qualche nuova avventura che prima o poi qualcuno di certo racconterà.
La conosceva bene, perché l’aveva già vista una pianta così, tanti tanti anni fa. Era la pianta della felicità, ed era nata proprio nel suo cuore. Maristella fece un gran sorriso. Si rivestì, sellò il suo fido Eliezer e volò via, verso qualche nuova avventura che prima o poi qualcuno di certo racconterà.