La pianta della felicità (a proposito di donne... una favola di guarigione)


 
illustrazione di @Enkel Dika

C’era una volta, ma secondo me c’è ancora, un paese lontanissimo da dove sei tu che mi stai leggendo, talmente lontano nel tempo e nello spazio che devi chiudere gli occhi molto stretti per riuscire a immaginarlo. Beh, in questo paese lontanissimo i cieli erano di corallo, la terra blu e le nuvole volavano ad altezza d’uomo, accarezzando i volti dei bambini contenti e confondendo i pensieri degli adulti frettolosi e indaffarati. 
Quando pioveva, le gocce di pioggia bagnavano i visi di tutti come lacrime e lavavano via i cattivi umori e i brutti ricordi. Con la neve, il silenzio prendeva ognuno nello spirito, e ogni persona si sentiva eterea e leggera come un coriandolo che svolazza a carnevale.
Venne un giorno d’inverno, in cui il re di questo paese si ammalò. Il medico di corte disse che solo la pianta della felicità poteva guarirlo, ma, dato che era un medico piuttosto anziano e per di più un po’ bislacco (pensate che andava sempre in giro con in testa un cappello a cilindro rosso come il rubino e un grosso orologio a cipolla appeso al collo, ma proprio grosso, grande come il suo gilet), nessuno volle credergli. Così vennero chiamati altri medici, da tutte le parti del mondo, ma nessuno di loro riuscì a guarire il re. Perciò, alla fine, anche se a malincuore, i cortigiani si trovarono costretti a credere alla diagnosi del medico di corte, il quale, molto soddisfatto, disse che la pianta della felicità cresceva solo in un luogo segretissimo, che nessuno conosceva, neppure lui. Gli chiesero allora di spiegarsi meglio, ma lui non rispose più nulla, anzi, accampò una scusa e disse che doveva scappare via di corsa.  Ma forse non era una scusa, perché il suo orologio a cipolla prese a suonare la sveglia e non smetteva più e lui se ne andò via saltellando. Chissà che aveva da fare!
Fatto sta che furono convocate le figlie del re perché decidessero come fare per prendere questa famosa pianta della felicità. La regina infatti non si trovava più e le malelingue dicevano che era fuggita con il medico. Ma questa è un’altra storia.
Allora, c’erano queste tre figlie, che erano una più bella dell’altra (l'ultima però, era la più  bella di tutte) che furono subito convocate. 
Quando le tre principesse sentirono quello che aveva detto il medico ebbero reazioni molto diverse. Le prime due si misero a ridere come delle matte e, ridendo e scherzando, si chiusero ognuna nei propri appartamenti e non ne vollero sapere di andare a cercare il posto segretissimo dove cresceva la pianta della felicità. L’ultima invece ci pensò su e poi decise che avrebbe provato a cercarla.
Tutti la osannarono e le fecero tanti complimenti, tranne quelli gelosi, che non avevano il coraggio di cercare la pianta delle felicità e allora, senza nemmeno provare a cercarla, preferivano dire che era tutte fandonie e quella pianta non esisteva per niente.
La terza principessa, che si chiamava Maristella, però non ascoltò né i complimenti né le critiche, ma fece le valige, montò sul suo cavallo alato, che si chiamava Eliazar,  e partì alla ricerca di quel luogo segretissimo che non si sa dove si trovi.
Maristella vagò a lungo e a lungo, sopra e sotto le nuvole. Dopo un po' però si sentì stanca ed affamata, così chiese ad Eliazar di atterrare in un bosco lì vicino e, trovato un cespuglio di mirtilli e frutti di bosco, ne mangiò più che poteva. Poi, sazia, si addormentò.
Mentre dormiva qualcosa di meraviglioso accadde. Il bosco si popolò di fantastiche creature. Uccelli del paradiso, fate, folletti e animali magici come gli unicorni e le pantere a pois gialli e rosa. Quando Maristella di svegliò non sapeva se stava sognando e chiese a Eliazar se anche lui vedeva quel che vedeva lei. Lui nitrì in un modo che poteva solo dire di sì e quindi lei si convinse.
Stava lì tutta meravigliata, quando toc toc si sentì bussare su una spalla. Si voltò, ma non vide nessuno. Dopo qualche secondo di nuovo: toc toc.
- Ma chi è? – disse Maristella
Una pianta alta con uno stelo molto spesso e un fiore rosso simile a un melograno si portò una foglia alla bocca e tossicchiò 
– Eehm sono io!
Maristella, che non aveva mai visto una pianta con la bocca, fece un salto e andò a sbattere contro Eliazar, che nitrì spaventato.
- Una pianta? Una pianta che parla?
- Beh, che c’è di strano? Siamo o non siamo in una favola? Nelle favole succedono queste cose!
Maristella ci pensò su e si convinse.
- Uhm... fammi pensare... Non è che per caso sei tu la pianta della felicità?
- Sì tesoro, in persona! Mi stavi cercando?
- Proprio così! Se non porto un po’ di… te a mio padre, morirà!
La pianta sorrise, non si sa bene come. Poi si staccò una foglia grande come un foglio a4 e la lasciò cadere ai piedi di Maristella.
- Eccoti qui, dalla a tuo padre. Poi però fai una tisana con questa foglia e bevine un po’ anche tu tutte le mattine per un anno. Vedrai che sarai felice per tutta la vita! Attenta però, perché se ti dimentichi di bere anche un solo giorno, poi dovrai imparare daccapo un po’ di cose prima di capire di nuovo che cos’è la felicità.
Maristella assentì, sicura di sé. Disse grazie e fece un inchino, poi prese la foglia, montò Eliazar e i volò via verso il suo regno lontanissimo. 
Facci caso però: il regno segreto dove stava la pianta, era lontanissimo dal regno lontanissimo, perciò la pianta non è poi tanto lontana da dove sei tu!
Ma non divaghiamo. Maristella volò per molte ore e poi giunse al castello, salvò il re suo padre e fu accolta come un’eroina da tutti quanti, tranne le sorelle un po’ peppie, ma c’era da aspettarselo. Anche sua madre mandò una cartolina dalle Hawaii, con i saluti del medico di corte che forse casualmente si trovava anche lui da quelle parti.
Da quel giorno in poi, tutte le mattine Maristella beveva la sua pozione ed era felice, tanto che conobbe un principe e si fidanzò con lui. 
Un giorno però il principe, che non sapeva nulla della pianta della felicità, volle assaggiare la tisana misteriosa e senza pensarci troppo si scolò quella di Maristella. Non trovando la sua tisana magica, Maristella soffrì molto e si arrabbiò, ma poi pensò che un solo giorno non poteva essere grave e non ci pensò più. Ma dimenticò di bere ancora il giorno dopo e quello ancora, finché un anno passò.
Allo scadere dell’anno, un giorno d’inverno, Maristella si svegliò e fece per uscire dal suo letto di fiaba, come tutti i giorni, ma non ci riuscì. Nonostante gli altri stessero benissimo, lei sentiva un freddo pungente attraversarle le ossa ed era un freddo così freddo, ma così freddo, che fu costretta a rimanersene sotto le coperte per molti giorni.
Quando finalmente si alzò provò a chiamare aiuto, ma si accorse di essere diventata muta. Non sapendo che fare si mise a piangere disperatamente e pianse, pianse, pianse come mai nessuna persona al mondo aveva pianto. Pianse per sette lunghissimi anni, durante i quali il principe se ne andò a cercare miglior fortuna con una donna, diceva lui, meno complicata. Alla fine le lacrime le pulirono il volto, cambiandole quasi i lineamenti, e le caddero sulla lingua e poteva parlare di nuovo.
In cambio della parola si accorse però di aver finito tutte le lacrime del mondo e i suoi occhi erano diventati secchi come sassolini di ghiaia così che lei era costretta a tenerli chiusi e non vedeva più nulla. Allora si mise a cantare una canzone così dolce, e cantò, cantò, per sette lunghi anni, finché la voce non le divenne rauca. La canzone era così dolce, che Maristella si commosse e una lacrima spuntò dal suo viso, così dopo sette anni, lei ci vedeva di nuovo.
Ora che poteva di nuovo camminare, guardare le cose e parlare andò a cercare Eliezer, il suo cavallo alato. Erano passati più di vent’anni. Il principe era scappato da tempo e le sorelle peppie avevano lasciato il regno da molti anni. Il re era morto e la regina era fuggita, così tutto era in preda alla confusione e le nuvole avvolgevano ogni cosa e persona come una costante e densa nebbia che non faceva vedere né sentire più nulla.
Maristella si mise a cavalcare il suo Eliezer e volò per un po’. Vide il suo regno dall’alto e di nuovo pianse, perché la nebbia avvolgeva tutto e non ci si capiva più niente.
Poi venne la notte e lei chiese ad Eliezer di scendere di nuovo in un bel bosco, dove stavolta non c'erano mirtilli. C’era invece una casetta vuota, ma accogliente, che sembrava aspettare solo lei. Là dentro trovò da mangiare, da lavarsi e riposarsi. C’era anche un po’ di biada per Eliezer. Non c’era il wifi, questo è vero, ma non faceva nulla, perché tanto Maristella non aveva portato con sé né lo smart phone né il tablet e voleva starsene un po’ sola con sé stessa e meditare che cosa doveva fare per salvare il suo regno dalla nebbia e dalla confusione. Si sentiva sola e stanca, ma mangiò di gusto quello che trovò nella casetta e poi si addormentò. Passarono diversi giorni, forse mesi, e Maristella restò lì, sola con il suo cavallo alato.
Una notte si addormentò molto presto e dormì profondamente. Sognò di fate, maghi e folletti. La svegliarono le note felici del canto di un uccellino, posato sul davanzale della sua finestra. Era giorno e lei si alzò. Davanti al morbidissimo letto dove aveva dormito come una regina, c’era uno specchio. Lei si alzò e lo toccò con il dito.
Allora si accorse che accanto allo specchio c’erano dei google glasses e li indossò. Subito nella stanza comparvero le proiezioni di sua madre e del medico bislacco, che ormai vivevano da anni alle Hawaii, dove avevano aperto un chiosco e vendevano piadine.
- Tesoro, Maristella! Sei tu? Finalmente vedi questo messaggio…
Disse la voce della madre. Maristella fece un salto su se stessa e quasi non cadde di nuovo sul letto. – Mamma! – disse – ma come facevi a sapere che io… - poi tacque, ricordandosi che si trattava di un messaggio registrato.
- Tesoro – diceva la mamma – come vedi qui alla Hawaii io sto alla grande e me la cavo veramente bene! Sono così contenta di vedere che finalmente stai bene anche tu! Ti mando un bacio enorme!-
Fece per andarsene, incamminandosi verso il mare, dove il medico bislacco l’aspettava suonando la chitarra alla luna, ma poi si voltò e aggiunse: - Un’ultima cosa! non essere triste, figlia mia, ma guardati un po’ allo specchio… 
Maristella si voltò verso lo specchio e non vide nulla. Sua madre però aggiunse – Ma no, no, senza gli occhiali! E togliti la camicia da notte, vedrai che sorpresa!
Il messaggio finì e la mamma sparì ai suoi occhi, inghiottita dal chiaro di luna delle Hawaii.
Maristella tolse gli occhiali. Si sentiva quasi più sola di prima, perché si rese conto che non parlava con nessuno da davvero tanto tempo. Però chissà perché adesso non le dispiaceva più di tanto.
Allora si ricordò delle parole della madre. Andò davanti allo specchio e si spogliò. Si vide nuda, più vecchia di quando aveva iniziato la sua avventura, certo, ma ancora molto bella. 
Poi sentì bussare: toc toc. Non sapeva da dove venisse quel suono, ma poi guardò meglio e si accorse che veniva dal suo petto. Fecando attenzione, vide che proprio lì, all’altezza del cuore stava germogliando una piantina, che si  vedeva appena spuntare sotto la pelle. 
La conosceva bene, perché l’aveva già vista una pianta così, tanti tanti anni fa. Era la pianta della felicità, ed era nata proprio nel suo cuore. Maristella fece un gran sorriso. Si rivestì, sellò il suo fido Eliezer e volò via, verso qualche nuova avventura che prima o poi qualcuno di certo racconterà.