Primo Levi, foto scaricata dal web |
Ho un ricordo vivido di quell'11 aprile del 1987. Non conoscevo, purtroppo, Primo Levi personalmente, ma il caso vuole che proprio in quel periodo della mia vita, da ragazzina, mi trovassi a leggere i suoi libri, appassionandomi molto non soltanto a quelli incentrati sugli scempi nazisti, ma anche ai suoi racconti sulla chimica e altre cose di fantasia.
In particolare però, il caso volle che pochi giorni prima di quell'undici aprile, avessi finito di leggere I sommersi e i salvati e giuro, senza retoriche, che quel libro mi cambiò la vita.
In quel libro Levi analizza le personalità delle vittime e alcune delle dinamiche psicologiche che erompevano in quel terribile contesto che erano i lager. C'erano quelli che si salvavano, che trovavano vie o a volte addirittura compromessi, e poi c'erano i sommersi. Quelli troppo deboli fisicamente o psicologicamente, quelli che si lasciavano sopraffare dal male che li trafiggeva e li uccideva senza lasciar loro scampo.
Ricordo che ne fui molto impressionata. Io, pensai, fossi mai capitata in quella situazione orribile, sarei sicuramente stata tra i sommersi. Ho ottocentocinquantacinquemi la fragilità. Sarei stata sommersa, senza possibilità alcuna.
Ma.
C'era un ma.
In quel libro e in altri suoi bellissimi, Levi mostrava, apertamente o tra le righe, una via di scampo. Irta, ma sicura. Complessa e ardita, ma capace di liberare l'animo delle persone per sempre e saldamente, contro qualsiasi avversità.
Oggi direi che era la coscienza, in senso husserliano. Il conoscere, il sapere. Quel conoscere e quel sapere, in particolare, che vengono anche e soprattutto dalla cultura, dal pensiero e anche dalla poesia.
Se persino nel bel mezzo dell'abisso di orrore di lager puoi aggrapparti alla poesia di Dante per descrivere il mondo che ti trovi ad avere intorno. Se dentro la tua anima e nel tuo cervello sai, conosci, hai letto molte cose, e dunque sai distinguere ed interpretare e rispondere, anche, e trovare strade dove non se ne vedono... Beh, allora non importa quanto fragile tu sia esteriormente. La forza che ti si scatena dentro ti terrà in piedi e ti sosterrà sempre. La forza della libertà di pensiero: una cosa che hai dentro e che nessuno mai potrà portarti via, a meno che tu non voglia (ma se l'hai provata davvero, non vuoi!).
La morte di Primo Levi mi colpì al cuore, come se lo avessi conosciuto di persona, come fosse stato un parente. Piansi. E poi da quell'11 aprile del 1987 cominciai a leggere e rileggere tutti i suoi libri per un lungo periodo. Lo meditavo, disegnavo il suo volto.
Imparai a leggere di più, a meditare, a studiare. Mi appassionai alla letteratura e alla filosofia, come mai prima.
Dopo qualche mese, la mia biblioteca personale cominciò ad ampliarsi in maniera considerevole e da allora non ha mai smesso di ampliarsi.
Lo so che la memoria di Primo Levi è legata a fatti ben più gravi e seri di un semplice ricordo personale e se qualcuno giudicasse per questa ragione questo mio post superficiale, me ne scuso.
In particolare però, il caso volle che pochi giorni prima di quell'undici aprile, avessi finito di leggere I sommersi e i salvati e giuro, senza retoriche, che quel libro mi cambiò la vita.
In quel libro Levi analizza le personalità delle vittime e alcune delle dinamiche psicologiche che erompevano in quel terribile contesto che erano i lager. C'erano quelli che si salvavano, che trovavano vie o a volte addirittura compromessi, e poi c'erano i sommersi. Quelli troppo deboli fisicamente o psicologicamente, quelli che si lasciavano sopraffare dal male che li trafiggeva e li uccideva senza lasciar loro scampo.
Ricordo che ne fui molto impressionata. Io, pensai, fossi mai capitata in quella situazione orribile, sarei sicuramente stata tra i sommersi. Ho ottocentocinquantacinquemi
Ma.
C'era un ma.
In quel libro e in altri suoi bellissimi, Levi mostrava, apertamente o tra le righe, una via di scampo. Irta, ma sicura. Complessa e ardita, ma capace di liberare l'animo delle persone per sempre e saldamente, contro qualsiasi avversità.
Oggi direi che era la coscienza, in senso husserliano. Il conoscere, il sapere. Quel conoscere e quel sapere, in particolare, che vengono anche e soprattutto dalla cultura, dal pensiero e anche dalla poesia.
Se persino nel bel mezzo dell'abisso di orrore di lager puoi aggrapparti alla poesia di Dante per descrivere il mondo che ti trovi ad avere intorno. Se dentro la tua anima e nel tuo cervello sai, conosci, hai letto molte cose, e dunque sai distinguere ed interpretare e rispondere, anche, e trovare strade dove non se ne vedono... Beh, allora non importa quanto fragile tu sia esteriormente. La forza che ti si scatena dentro ti terrà in piedi e ti sosterrà sempre. La forza della libertà di pensiero: una cosa che hai dentro e che nessuno mai potrà portarti via, a meno che tu non voglia (ma se l'hai provata davvero, non vuoi!).
La morte di Primo Levi mi colpì al cuore, come se lo avessi conosciuto di persona, come fosse stato un parente. Piansi. E poi da quell'11 aprile del 1987 cominciai a leggere e rileggere tutti i suoi libri per un lungo periodo. Lo meditavo, disegnavo il suo volto.
Imparai a leggere di più, a meditare, a studiare. Mi appassionai alla letteratura e alla filosofia, come mai prima.
Dopo qualche mese, la mia biblioteca personale cominciò ad ampliarsi in maniera considerevole e da allora non ha mai smesso di ampliarsi.
Lo so che la memoria di Primo Levi è legata a fatti ben più gravi e seri di un semplice ricordo personale e se qualcuno giudicasse per questa ragione questo mio post superficiale, me ne scuso.
Ma se potessi, io vorrei ringraziarlo per tutto quello che ha insegnato a una ragazzina che lui non ha mai conosciuto, che cercava di interpretare il mondo senza riuscirci ancora e a cui lui, senza saperlo o volerlo, ha regalato una chiave che le ha aperto un mondo, donandole un'arma infallibile contro ogni avversità nella sua futura vita. La libertà e l'autonomia del pensiero, quella che nasce, tra le altre cose, dalla conoscenza e dalla coscienza che ne consegue.