Giuseppe Ciracì, dalla serie Azzurro_cielo, 2016 - courtesy dell'artista |
C’era un film, qualche tempo fa, un film francese, che si intitolava Giù al nord. Era un film, molto carino, a me è piaciuto molto. Ne hanno fatto poi anche una versione italiana, credo. Parlava dei pregiudizi territoriali, per usare un termine che di solito si usa nel calcio. Che poi, come tutti i pregiudizi, spesso si rivelano fallaci e superficiali. Soprattutto superficiali.
Ecco, la storia che voglio raccontare oggi comincia con una situazione in parte simile (ma solo in parte!) alla trama di quel film. Un artista emergente, nato in Puglia e naturalizzato milanese da un bel po’ di tempo, viene trasferito per lavoro di nuovo in Puglia. All’inizio non è tutto rose e fiori. adattarsi alla novità gli sembra duro e difficile. Tutto è diverso laggiù, rispetto a Milano. E non solo per quello che succede o non succede (ahimé) nel mondo della cultura e dell’arte: proprio tutte le cose sono diverse. I ritmi del giorno e della notte, le architetture, quello che vedi dalla finestra di casa. Le strade, i colori, la luce. Già, la luce.
Giuseppe Ciracì, dalla serie Azzurro_cielo, 2016 - courtesy dell'artista |
La luce di qui getta il suo sguardo sul tuo passato, se ci sei nato. Parla la lingua dell’infanzia, dei ricordi. E poi non c’è niente da fare, è una luce del sud. È forte, è dolce. Ma è anche spietata quando s’impunta, a mezzogiorno, e ti abbaglia gli occhi e ti colora la pelle e ti scalda la carne e il cuore. è tanto forte che ti cuoce le pagine di un libro, se lo lasci al sole, le colora.
E anche la pioggia qui è più vigorosa, quando c’è e le pagine del libro te le stinge. Mentre l’aria di mare e la salsedine le consuma, le rode, le mastica dall’interno. È così e si vede.
La natura qui si fa sentire, lascia la sua traccia, netta, sotto i tuoi occhi e sopra le tracce antiche della storia.
Giuseppe Ciracì lavorava già da anni sul disegno, e sul rapporto tra arte antica e contemporanea (anni fa ho scritto un testo per lui, che si può leggere qui). Gli piace studiare Leonardo. Studiarne i concetti, certo, le opere. Ma più di tutto studiarne il tratto, il disegno. Imitarne lo scorrere della matita sulla carta e così facendo sovrapporre il suo cervello a quello, sinapsi contro sinapsi, senza bisogno per forza di parole. Come se tanti secoli non fossero passati da Leonardo a lui, con lo stesso eterno gesto del disegnare, del tracciare su carta la forma di un corpo umano, fino al suo più piccolo dettaglio solo apparentemente insignificante, come l’ombra di un piccolo nervo.
Adesso Giuseppe alza gli occhi dal suo disegno di Leonardo e vede la luce del sud, che gli brucia gli occhi. Apre un vecchio cassetto e trova un libro di storia dell’arte di tanti anni fa. Lo sfoglia, sorride, ricorda.
E poi gli viene in mente che vorrebbe catturare la luce, il clima di quei posti e stare a guardare che cosa succede se si espone il tempo della storia (quello che è nascosto nelle pagine di quel libro, che già di per sé è un doppio tempo. Tempo personale della storia di un ragazzino che studiava arte e se ne innamorava bambino e tempo della Storia dell’arte con la esse maiuscola, che nel libro è narrata) al tempo nel senso delle intemperie meteorologiche, e dei giorni che passano luce dopo luce e notte dopo notte. O pioggia o vento o aria arsa e statica che fa caldo e non si respira, aria di una terra fertile e forte e antica. Quel che arriva.
Così l’artista strappa le pagine del libro e le lascia cuocere al sole, come facevano con le fette di carne salata gli antichi marinai che dovevano prendere il mare, che sapevano quando sarebbero partiti, ma non sapevano dire il ritorno.
Giuseppe fa così e poi fa una cosa completamente originale per uno che ha vissuto tanto tempo a Milano. Si mette lì, e aspetta.
Certo, intanto fa altre cose, ma un pezzo del suo cuore e della sua mente lo lascia lì, da quelle pagine di un libro di storia dell’arte, che devono essersi meravigliate molto, loro, portatrici di meraviglie, a trovarsi così d’improvviso esposte a tutta quella luce calda. Giuseppe non fa nulla per consolarle. Come un monaco orientale, semplicemente aspetta.
E poi, dopo molti giorni, mesi, ecco che può prendere vita il suo progetto. Le pagine della storia, tinte di azzurro dal passare dei giorni e del tempo di luce e aria di mare, così diversa dall’odore dei navigli all’ombra della Madonnina, adesso sono pronte per tornare vive.
Giuseppe Ciracì, dalla serie Azzurro_cielo, 2016 - courtesy dell'artista |
Giuseppe le prende, le attacca sui fogli di carta. Ci disegna sopra, cita Leonardo. Parla. Parla con le sue mani, che disegnano, tracciano linee, compiono un gesto umanissimo, profondo come l’anima. Quello che venne prima della scrittura. Il disegno. Giuseppe disegna e disegnando parla, racconta. E intanto ascolta le storie che gli raccontano le pagine antiche, e i disegni ancora più antichi che sono fotografati lì sopra (ah Walter Benjamin, quante cose ci hai insegnato! Non ti saremo mai grati abbastanza!).
Giuseppe Ciracì, dalla serie Azzurro_cielo, 2016 - courtesy dell'artista |
Giuseppe disegnando parla della storia, del passato, del presente. E intanto, mentre disegna, parla con la storia, con il passato, con il presente. Storie su storie, tempo su tempo. Tutte le storie insieme, tutti i tempi insieme. Anacronie e vortici, come spiega Didi-Huberman, come piaceva a Benjamin.