Pensieri alla rinfusa su arte, filosofia e start-up e...

 
(foto di scena de La finestra sul cortile di Hitchcock scaricata dal web)

77 parole

In un articolo che ho letto qualche giorno fa, l’autorevole Philip Roth sosteneva che il linguaggio di Donald Trump non va oltre le 77 parole in tutto. Altrove si diceva invece che il suo tile di conversazione è pari a quello di un dodicenne non particolarmente scolarizzato. Bene. A questo punto forse qualcuno si chiederà perché ho deciso di cominciare così questo post.
Non intendo parlare di politica, sebbene la situazione internazionale attuale ci fa pensare che forse ne avremmo bisogno, ma di cultura. Precisamente di cultura e di mondo delle giovani aziende, le famose start up, facendomi qualche domanda circa il rapporto che intercorre tra queste due realtà apparentemente lontane tra loro.
Ho cominciato questo post con quella citazione per dire che la mancanza di linguaggio, di ragionamento, di cultura, davvero può generare mostri. Faccio un esempio. Mi fa pensare il modo in cui Trump qui usa la parola “bad”.



Se ho proprietà di linguaggio anche mentalmente sarò capace di distinguere diverse situazioni. Una cosa non sarà solo cattiva o buona, ma vedrò le migliaia di sfumature che stanno tra un estremo e l’altro.
Se per caso poi sono un poeta, vedrò ancora più in là. Avrò doti di empatia, saprò mettermi nei panni dell’altro. E se a questo unisco una certa capacità critica, beh, da tutto questo la mia capacità logica e di ragionamento non potrà che uscirne rafforzata.
Qui tutte queste cose mancano totalmente. Non si va oltre le terminologie usate per raccontare a un bimbo di tre anni la trama di un cartone animato  o al massimo un western, dove ci sono gli indiani sempre solo cattivi e gli yankees sempre solo buoni (guarda un po’!).
Certo non basta essere colti, specie se la cultura diventa un vanto, un qualcosa da esibire con snobismo e superiorità, come a volte purtroppo accade. Quello che serve è una cultura vera, che fa i conti con la verità dell’esperienza e della vita concreta, che vive la quotidianità e la legge, e la interpreta e ne trae conclusioni immaginandone i possibili sviluppi. Immaginando vede il bene che possiamo creare e il male che possiamo evitare, prima che si avverino. Tutte cose per cui 77 parole davvero non bastano. E i risultati si vedono.
Tra le 77 parole di Trump e la cultura di Philip Roth ci sono però diversi gradi intermedi.
La mia domanda è: quante volte una maggiore conoscenza potrebbe aiutarci a migliorare la qualità del nostro ragionamento e la nostra capacità di elaborare/proporre idee, in qualsiasi settore di attività?


 
(immagine scaricata dal web)


Filosofia ingessata

Ma c’è un altro problema. Se in ambito politico ultimamente vanno tanto di moda le urla, le parole concitate, la mancanza di approfondimento eccetera, non è che il mondo della cultura invece se la cavi poi così bene. Vedi lo snobismo di cui sopra, ma non solo.
Spesso in ambito culturale abbiamo a che fare con due tipi di realtà. C’è una produzione artistica che viene più o meno dal basso, che a volte appare arbitraria nei suoi esiti, ma che di fatto si configura un po’ come una sorta di fucina, dove, tra tante cose anche confuse, nascono però anche alcune realtà interessanti e ricche di potenzialità. Ma a parte il germinare delle nuove idee artistiche e creative, da queste parti spesso mancano i fondi perché si possa fare ricerca in modo vero e concreto.
Dall’altra parte esiste poi la cultura “alta”: le università, i musei, le istituzioni. Soprattutto le università ho l’impressione che non godano di ottima salute. Non che non prosperino, a volte, per quantità di allievi o corsi. Ma è proprio il contenuto della ricerca che viene svolta che troppo spesso appare lontano dal contesto concreto di dove nasce e cresce la cultura “operativa”, di quelli che la vivono, che osano e sperimentano le cose nuove, per non parlare del mondo reale, delle persone vere che vivono la propria quotidianità. Non è raro, parlando con quelli che si occupano di filosofia o di letteratura, osservare una specie di scissione tra ciò che dicono quando spiegano la loro materia ai propri allievi e ciò che vivono, concretamente, nella loro vita e nelle loro relazioni.
Particolarmente ingessata mi pare la filosofia. La quale sta sì sviluppando la questione della pratica filosofica, ma senza approfondire troppo la questione sembra che sia più preoccupata di trovare una collocazione lavorativa ai suoi laureati che ad andare a vedere realmente che cosa la filosofia c’entri con la vita reale e concreta di tutti i giorni.
Sull’applicazione della filosofia come sorella minore della psicanalisi poi neppure mi pronuncio, poiché personalmente trovo che il parlare e ragionare sui problemi personali non soltanto non sia utile, ma potenzialmente sia dannoso. Ma questa è un’altra storia.
Comunque sia, la situazione è questa. E se anni fa in televisione si ascoltavano con interesse i discorsi dei filosofi o degli scienziati. Oggi questo ruolo l'hanno preso i cuochi. Sono loro gli unici a cui la gente attribuisce un'autorità! Ci avete fatto caso?


(parodia del celebre quadro di Friedrich scaricata dal web)


Vision

Tornando a noi, come studiosa di filosofia e anche di arte, vedo invece che spesso in questi settori manca quello che nelle aziende si definisce come VISION. Una visione, una capacità di immaginare il futuro e una visione d’insieme. Ciò è molto curioso e fa capire la crisi, non soltanto economica, ma anche culturale e spirituale, oserei dire, in cui ci troviamo. Perché in teoria dovrebbe essere proprio materia degli artisti e dei filosofi non solo descrivere e raccontare il presente, ma anche immaginare il futuro, così come il nesso logico e semantico che lega tra loro i fatti, gli eventi.
L’arte e la filosofia dovrebbero insomma cercare e trovare un senso nelle cose, nel doppio senso (chiedo scusa per il gioco di parole) del significato e della direzione.
Gli artisti e i pensatori più appassionati, senza che sia una loro intenzione chiaramente espressa, questo fanno.


Sensibilità tecnologica?

Paradossalmente nel mondo delle start up e delle nuove tecnologie si incontrano giovani animati da grandi speranze e ricchi spesso non di finanziamenti, ma di idee, di voglia di progredire e di creare cose nuove. La sensazione è che molti di loro abbiano una visione del futuro, certo a volte confusa, ma abbastanza concreta, e un desiderio di attuarla, spesso nel rispetto di temi socialmente sensibili come l’ecologia, l’integrazione o altro.
Spesso si tratta di gente che viaggia, che sperimenta, che  vede cose e persone e conosce il mondo in un modo molto legato all’esperienza e poco alla teoria.
Trovo la cosa piuttosto curiosa. I mondi dell’arte e della filosofia sono carenti di questo atteggiamento orientato al futuro. Non sempre, ma spesso. Mentre in ambito nuove tecnologie lo spirito sembra risollevarsi un po’ e muovere qualche passo verso il futuro. Solo che lo fa in modo non consapevole, spesso, con tutte le carenze che la mancanza di consapevolezza comporta.

(foto di Doisneau presa dal web)


Non solo storytelling

In sostanza la mia domanda è: è possibile mettere in dialogo questi due mondi, quello delle nuove tecnologie e quello dell’arte e della filosofia?
Qualcuno lo ha già fatto? Non parlo però solo di storytelling, o di coaching. Questi territori sono già percorsi e a mio parere non sempre con ottimi risultati.
Mi piace invece immaginare una vera ricerca nell’ambito del pensiero, e dell’espressione artistica, che vada di pari passo con l’evoluzione tecnologica, donandole quell’anima che quest’ultima non ha necessariamente nel suo dna e nel contempo assorbendo in sé l’entusiasmo della visione orientata al futuro migliore che questa possiede.
Posto che i filosofi e gli artisti contemporanei, se sono in gamba, sono abituati a cercare soluzioni alternative, inattese, sperimentali e nuove, perché non possiamo provare a mescolare un po’ le due cose?
Ha senso provare a parlarne? Soprattutto, ci sono esponenti dell’uno e dell’altro campo che hanno voglia di scambiarsi due idee e fare due chiacchiere?
In quanto studiosa di filosofia e di arte contemporanea, mi piacerebbe che così fosse e sarei interessata a partecipare alla conversazione.