Stefano Arienti e l'immagine come objet trouvé


Courtesy Galleria In Arco, Torino

Sarebbe un esercizio molto sano e vitale prendere le immagini fallaci e le bufale che affollano il web e i vari social network e stamparle, ritagliarle, separale e poi ricomporle in forme diverse. Così facendo le faremmo ritornare tornare quello che sono: immagini e figure, da comprendere, contestualizzare, decontestualizzare e ricontestualizzare per poterle infine, capire. Forse così ci libereremmo da quella strana malìa così diffusa ai nostri giorni, che rende tante persone disposte a credere a qualsiasi cosa si legga in giro senza prendersi neppure la briga di verificare le fonti. Sarebbe un po’ come un disincanto creativo e vivace, utile a rimettere in moto l’intelligenza spesso sopita… chi può dirlo!


Courtesy Galleria In Arco, Torino

Nella storica galleria In Arco di Sergio Bertaccini, a Torino, è possibile visitare una mostra dedicata al lavoro di Stefano Arienti. Le opere esposte vanno dagli anni ottanta al duemila. Ci sono le turbine, i poster, le cancellature: insomma, il percorso espositivo fornisce una visione abbastanza esaustiva del lavoro di Arienti più noto al pubblico.
Si tratta di lavori in cui l’artista lavora sulle immagini un po’ con l’attitudine che ho scritto al principio di questo post. L’atteggiamento è quello creativo al massimo, ma senza l’ansia di dover produrre il nuovo a tutti i costi. Si tratta di un lavoro di riappropriazione e uso degli schemi linguistici che sottendono le immagini. Un modo per vederle, usarle e al contempo capirle. E forse anche capire noi stessi attraverso di esse.

Courtesy Galleria In Arco, Torino

Arienti mi è sempre piaciuto molto. Le sue Turbine, create come origami con un pazientissimo lavoro di pieghettatura, mi hanno sempre affascinata per almeno due ragioni. La prima è il tempo.
Qui l’opera rimanda al fare l’opera stessa, fa pensare al gesto dell’artista, a una mente che si svuota, come nel caso di un esercizio Zen. Avete presente il libro di Alan Watts sullo Zen, dove dice, provocatoriamente, che lo Zen non è pensare a Dio mentre si pelano le patate, ma pensare a pelare le patate mentre stai pelando le patate? Ecco, le turbine di Arienti mi fanno pensare a qualcosa del genere. A un tempo e un agire concentrato, assorto, meditativo, ripetitivo. Mi riferisco, evidentemente, non tanto al tempo della ricezione dell’opera, ma quello dell’azione artistica che ad esse è sotteso e che in esse è testimoniato.

Courtesy Galleria In Arco, Torino

Ma Arienti non fa solo questo. Nel suo lavoro le immagini sono in sé stesse objet-trouvé. Letteralmente sono oggetti che si possono usare, toccare, muovere, comporre e ricomporre dando vita a visioni sempre diverse e nuove.
È il caso delle cancellature e dei collages. La loro bellezza sta nel gesto che maneggia le immagini, non in modo virtuale o con una pretesa di verità, ma nel modo concreto e letterale del gioco che permette ai bambini (e non solo a loro) di prendere coscienza delle cose e comprenderle.

Courtesy Galleria In Arco, Torino

Arienti fa così, ci permette di prendere contatto con le immagini che quotidianamente ci circondano, facendole nostre, toccandole con mano, letteralmente. In questo può darci una bella idea…
Come dicevo al principio, sarebbe un esercizio molto sano e vitale prendere tutte le immagini e le varie bufale che affollano il web e i nostri social  network e trattarle come fa Arienti con i vecchi poster e le figure dei libri. Chissà che cosa ne verrebbe fuori, in che modo cambierebbe nostra percezione del mondo, virtuale o reale che sia.