Vir Temporis Acti - Marcello Maloberti alla Quadriennale di Roma

Quella che segue è una breve riflessione sulla performance di Marcello Maloberti Vir temporis Acti svoltasi lo scorso ottobre alla Quadriennale di Roma.

Marcello Maloberti
Himalaya, 2012
performance; Photo Ela Bialkowska
Courtesy Quadriennale di Roma e l'artista

Carta, forbice, pietra. C’è tutta la morra in questo gioco che non un gioco. Come già era accaduto per Himalaya, nel 2012 (vedi foto). Il meccanismo è lo stesso.
Ci sono le forbici per tagliare, la carta che è tagliata e la pietra che è rappresentata dalle sculture, specchiate nelle immagini che le ritraggono e che sono poi ritagliate dal ragazzo.
Lui è appunto un ragazzo, che sta seduto nel bel mezzo di una sala ritaglia immagini di antiche statue egizie. Il presente e il futuro si sovrappongono. La storia fa una giravolta, si siede accanto al giovane e lo guarda giocare.
Il gesto del ritagliare significa far propria l’immagine. Il rispetto anzi il timore reverenziale per gli antichi libri è superato, l’immagine diventa una cosa, nel senso di un oggetto che posso prendere e usare come voglio.
Ma tagliare è anche un gesto ripetitivo, che ha qualcosa della meditazione, del lavoro minuzioso e attento. Il ragazzo, è come se disegnasse un mandala nella sua mente, anche se ciò che vediamo non ha forma, non ha equilibrio così come dovrebbe avere il mandala. La logica però è quella: un accostarsi casuale di forme e colori, destinato a non durare, a non avere persistenza.
Da parte loro, le immagini ritagliate rappresentano il passato, anzi la storia, quella antica. Una storia che però abbiamo dentro. Ce ne riappropriamo e la facciamo nostra.
I ricordi del passato, la memoria delle antiche civiltà si accumula, si sovrappone, si sedimenta. Da nulla diventa qualcosa, prende corpo e sostanza.
Insomma quello che qui ha luogo è un po’ il contrario del lavoro dell’archeologo: qui non si cerca il passato per portarlo alla luce, e magari comprenderlo alla luce del pensiero del presente. Le figure si colgono, si prendono, si isolano, si rendono metafore, si accostano a caso ad altre figure, ad altri mondi.
Scivoliamo così, senza accorgercene, dal mondo dei concetti e degli oggetti preziosi che stanno a guardarci nelle sale dei musei (almeno come i musei erano pensati una volta), al mondo delle cose che possiamo guardare, toccare e utilizzare e magari giocare.
Viene in mente Nietzsche nella Seconda Considerazione Inattuale, dove dice che la storia è come un magazzino di costumi dove possiamo di volta in volta scegliere di indossare l’abito che preferiamo. Qui però l’azione cade su se stessa, è gioco, non pensiero. È gesto, è tempo, è meditazione.
Certo il tempo è protagonista. Passato e futuro, tempo della vita e durata del tempo che mi serve per ritagliare. Nel gesto compiuto dal ragazzo, il tempo prende forma, nel senso che si fa plastico, assume le sembianze di una scultura. Fragile come la carta e intensa come gli sguardi delle figure antiche che diventano così moderni tasselli, a comporre il puzzle del nostro essere storico e contemporaneo.
Non è dunque il tempo ma la storia ad essere scolpita, a prendere forma, per unirsi in una specie di mistiche nozze con il tempo del nostro agire, simboleggiato dal gesto lento e preciso del giovane che ritaglia i volti di pietra.

Qui il video della performance ( il link porta al canale Vimeo dell'artista, courtesy Fondazione La Quadriennale di Roma, riprese e montaggio Studio Clichevideo)