Rinnovando il blog, ho pensato di creare una specie di
rubrica, che aggiornerò con frequenza del tutto irregolare. Quando troverò un
artista le cui opere mi appassionano sinceramente ne parlerò qui elencando le
cinque buone ragioni (eh lo so, va di moda questa cosa del numero… ma in
effetti facilita la lettura!) per cui secondo me vale la pena chiamare “arte”
il suo lavoro. Comincio con i filosofi di Hilario Isola.
Hilario Isola, I
FILOSOFI, 2016
Socrate
(bronzo)
5X8X25
mm - courtesy dell'artista |
Sarà perché si tratta di filosofia, o perché nel suo caso l’artista,
da una certa prospettiva, sembra quasi un mago che gioca con la realtà. Non so,
certo è che di lavori suoi me ne sono piaciuti diversi. Tra tutti però mi hanno
colpita in modo particolare – forse a causa della mia formazione personale - le
teste di filosofi trasformate in piccoli chiodi o anelli. Ecco qui di seguito le
cinque buone ragioni per cui secondo me questi lavori sono notevoli.
1. Il filosofi ci
mettono la faccia. Ah! Era ora! E non per andare in televisione o diventare
famosi, ma per dirci qualcosa del loro pensiero. No, qui Lombroso non c’entra, e
neanche la fisiognomica e nemmeno Bouvard e Pécuchet di Flaubert, che cercavano
di capire il carattere delle persone palpando loro furtivamente il cranio. Qui
ci sono solo le facce. I volti, piccolissimi, come capocchie di spilli che si
affacciano su chiodi o anelli.
Ed ecco i filosofi che hanno fatto la storia (della
filosofia), invitati a incontrarsi nello spazio vuoto di una sala espositiva, che
escono dalle aule universitarie e vengono allo scoperto, con i loro volti, liberandosi
magicamente dalle pagine dei libri. Guardandoci faccia a faccia, i filosofi si
raccontano, raccontano le loro storie e creano addirittura dei piccoli simposi,
radunandosi per temi o per avventure (o disavventure) esistenziali. Alla
piccolezza dei volti fa da contraltare la grandezza del loro pensiero.
Hilario Isola, I FILOSOFI, 2016
Socrate (bronzo)
5X8X25 mm - courtesy dell'artista
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2. Il vuoto. Le
opere sono anelli oppure sono chiodi, piccolissimi. Piantati nel muro. Ciò
comporta alcune conseguenze. Intanto ti devi avvicinare, se no, non li vedi.
Così prendi coscienza della sala vuota, dello spazio in cui ti trovi, che pare
respirare. Quante volte ci capita di sentire il vuoto intorno a noi, nel mondo
in cui viviamo? Quasi mai. Tra luoghi e non luoghi, il nostro mondo quotidiano
è pensato per contenere quasi tutto, tranne il vuoto. Ma il vuoto è necessario
come l’otium per creare quel
silenzio, quello spazio e quel tempo, che permette il pensiero.
Hilario Isola, I FILOSOFI, 2016
Socrate (bronzo)
5X8X25 mm - courtesy dell'artista
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3. Poi sono chiodi.
Facendo le dovute proporzioni (anche se in effetti semanticamente l’oggetto,
almeno come simbolo, rimanda al tema!), avete presente quel brano del Vangelo
in cui Gesù chiede a quelli che lo seguono se sia più facile dire “Ti sono
perdonati i tuoi peccati o alzati e cammina?”. Questa cosa mi ha sempre fatto
riflettere. Siamo sicuri che le cose più importanti siano quelle che saltano
agli occhi?
Ecco. Ai chiodi ci si appendono i quadri, questo lo sanno
tutti, anche Paperino – che spesso ci rimette le dita. A pensarci bene, di
solito le opere sono sorrette da due cose: fisicamente, da un chiodo che regge
la tela, e poi da un pensiero che sostiene tutto il lavoro e gli dà corpo e
forma. Sono due cose (i chiodi e il pensiero) di cui facilmente chi va alle
mostre (non necessariamente solo quelli che ci vanno per il buffet!) di solito
si dimentica. Una è un oggetto fisico, che sembra relativo, ma non lo è per nulla. Che fine farebbe un quadro appeso
al muro senza un chiodo che lo regge? L’altra cosa, il pensiero, è enorme ma spesso
(quando c’è, se c’è) salta agli occhi ancor meno del chiodo.
Hilario Isola, I FILOSOFI, 2016
Giordano Bruno (bronzo)
5X8X25 mm - courtesy dell'artista
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4. Oppure sono anelli.
L’anello, caspita, qui la simbologia è infinita. Sono anelli gli amuleti, le
fedi, quelli dei cardinali, i suggelli degli antichi potenti, gli ornamenti
delle mani delle donne. Gli anelli sono timbri, sono simboli. Insomma, sono un
sacco di cose. E qui io mi porto il volto del pensiero, me lo metto al dito. Me
lo lego al dito, io, il pensiero. E magari è un anello con due volti, come
Giano bifronte: da un lato il maestro, dall’altro l’allievo, l’oggi e il domani,
la premessa e la conseguenza, Socrate e il parricida. Uno specchio dell’altro,
uno il guanto rovesciato dell’altro.
Moto in fermentazione, richiami da caccia,
microfoni
Dimensione ambientale.
Installation view at Maxxi Museum Rome (courtesy dell'artista)
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5. La filosofia riprende i sensi? (e c’è anche un pizzico di alchimia). Eh… magari…! Ma non divaghiamo… Questo fatto di evidenziare il volto del pensatore, e di riprodurlo magari in oro o in bronzo, e forgiarne un oggetto, a me sa tanto di pietra filosofale. E poi, ancora, il fatto di rendere la filosofia per mezzo dei volti, e di scolpire questi volti in materiali preziosi, costringendo la gente ad avvicinarsi al filosofo, a guardarlo per bene negli occhi e nei tratti del viso… è avvicinare la filosofia al mondo dei sensi, dargli una rotondità, una dimensione che a volte si perde e sfuma tra le pagine dei libri letti e riletti. Questa cosa degli anelli, e dei chiodi, non è un po’ come far riprendere i sensi alla filosofia? Nel senso di darle un po’ di vita, ma anche un filino di erotismo. Non perché i lavori siano allusivi o sessuali in qualche modo, ma perché esaltano il mondo dei sensi e perché sono belli. Mica poco.
I volti dei filosofi stanno sulla stessa linea di ricerca di
altri lavori, in cui l’artista cerca di isolare (ok il gioco di parole è voluto)
la sostanza della voce e del pensiero, come il suono del vino, tramite
complicati alambicchi, e da tutto questo fa nascere una musica.
Moto in fermentazione, richiami da caccia, microfoni
Dimensione ambientale.
Installation view at Maxxi Museum Rome (courtesy dell'artista)
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E poi altre volte l’artista è come un mago, che fa sparire e
riapparire le cose, e mette il bello dove c’era il brutto…
Hilario Isola - Camouflage 2016 - courtesy dell'artista |
Ad esempio, questa è un’altra opera e si chiama Camouflage e riflette sull’essenza dell’esistere, sul filo teso tra presenza e assenza, apparire e scomparire. Ancora, come al principio: nel piccolo come nel grande, l’opera sta sul filo tra ciò che esiste e ciò che non c’è, gioco dei sensi, che sono abbagliati, che si mettono in gioco o di cui ci si prende gioco. L’artista è come un mago, e per un attimo ci fa credere che l’illusione sia vera.
Insomma, questi lavori per me sono davvero belli. Ho una sola
cosa da obiettare. Strano che tra tutti ivolti di filosofi manchi proprio
quello di Lévinas!