Rebel Rebel. Una mostra di Georges Didi-Huberman a Parigi

Georges Didi-Huberman, foto scaricata dal web
Ne sono sempre più convinta, Georges Didi-Huberman è il filosofo che dice alla nostra epoca le cose più interessanti, in assoluto. E poi, lo ammetto. Caso mai avessi avuto bisogno di ritrovare in pieno tutta la mia personale passione per la filosofia, l’incontro con i libri e le teorie di Georges Didi-Huberman mi ha cancellato ogni dubbio.

Annette Messager, 47 Piques, 1992 - foto scaricata dal web
Il pensiero di Didi-Huberman, che trova i suoi maestri e ispiratori in personaggi del calibro di Aby Warburg e Walter Benjamin, ruota intorno a argomenti fondamentali per la nostra epoca, e non soltanto per coloro che si occupano di arte.
Temi come l’immagine, la sua relazione con il tempo, la nozione di verità che ad essa sottende, la dialettica del montaggio (se possiamo dire così) sono i punti caldi del suo pensiero, che va a collocarsi al crocevia tra storia dell’arte, filosofia e psicanalisi e da lì prende le mosse per illuminare molta parte del panorama artistico e filosofico contemporaneo. Da lì nasce un pensiero fecondo, pregno di conseguenze e capace di dire molte cose alla contemporaneità, molto molto oltre le vagonate di banalità stantie che le case editrici – specie quelle accademiche – vanno stampando quotidianamente da molto tempo a questa parte quando si tratta di filosofia o di storia dell'arte.
Non potevo perciò perdere l'occasione di scrivere questo post per segnalare un evento molto interessante.
Lo scorso 18 ottobre si è inaugurata a Parigi, presso il Jeu de Paume, una mostra curata da Didi-Huberman in persona. L’esposizione, che proseguirà fino al prossimo 15 gennaio, raccoglie una serie di materiali eterogenei, creando un excursus sulla produzione artistica non appartenente a una singola epoca storica, ma che ruota intorno al tema comune della ribellione.

Dennis Addams, Patriot, 2002 - foto scaricata dal web
Il titolo della mostra è infatti Soulèvement – parola che in francese sta per ribellione di massa, un po’ come “sollevazione” (popolare) in italiano. La parola ha a che fare con il gesto del sollevare, del sollevarsi ed è su questo gesto, anzi, sulla gestualità dell’immagine stessa, sul suo essere essa stessa "gesto" (non nel senso di Pollock, ma secondo una concezione più ampia e pervasiva) che si articola, anzi, meglio, si compone il percorso espositivo della mostra.
La mostra tiene dunque conto delle nozioni care a Didi-Huberman di montaggio, vortice, soglia, anacronismo. 

Chieh-Jen Chen, The Route 2006 - immagine scaricata dal web
In altre parole, qui ogni immagine rimanda all’altra per somiglianza, per analogia, così come l’elemento di un sogno prende senso nel contesto dell’analisi di colui che sogna e non è comprensibile altrimenti. Oppure nel modo in cui una figura poetica assume senso all’interno di un componimento, o, meglio ancora, come un sintomo rimanda a una propria diagnosi, magari psicosomatica.
I gesti della ribellione, del soulèvement, sollevano il mondo, si sollevano, dicono sì e no, vedono il futuro sognato, cercano di costruirlo. Sono gesti che si richiamano l’un l’altro attraverso le epoche, sono immagini-soglia, come sarebbe piaciuto a Walter Benjamin.
Insomma, che dire di più? Una meraviglia di stimoli per la mente e per gli occhi, insieme.