Le Olimpiadi di Rio stanno appassionando le nostre giornate. E mentre molti di noi si scoprono ferventi tifosi di sport di cui fino a pochi giorni fa ignoravano l’esistenza, come sempre accade nell’occasione dei giochi olimpici, alcuni eventi qua e là suscitano riflessioni che vanno oltre l’aspetto puramente sportivo delle gare.
Dal punto di vista delle donne, ho notato un paio di questioni, anzi quattro. Eccole.
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1. Le cicciottelle. Riguardava
le arciere azzurre, ne hanno già parlato praticamente tutti e qualche testa è
già caduta. Il problema è che qualsiasi uomo si sente in diritto di giudicare
il corpo di una donna, indipendentemente sia da ciò che la donna sta facendo
(una performance sportiva, in questo caso), sia dal… suo, di corpo. A parte il
fatto che vivremo in un mondo finalmente evoluto il giorno che quando qualcuno
parla di un argomento staremo a sentire ciò che ha da dire, indipendentemente
se chi parla è maschio, femmina, gay, lesbica o trans. Ma poi, voglio dire, se
siete come Johnny Depp qualche anno fa, magari tra di voi con gli amici al bar avete
pure diritto di parlare. Ma se il vostro girovita somiglia al mio se tengo in
braccio un’anguria anche no.
2. La domanda di matrimonio
in diretta. Le favole di una volta mettevano in guardia le fanciulle a non
rifiutare quello che sembra un rospo, ché magari poi si rivela essere un
principe. Quello su cui le favole dimenticavano di avvisare è il pericolo che
quello che sembra un principe sia in realtà un rospo o, peggio, uno stalker o,
ancora peggio, una specie di Alberto Sordi con gli occhi a mandorla. Senza
esagerare o fare illazioni, occhio a ciò che succede. Lei vince l’argento in una
competizione internazionale, presumibilmente dopo anni di duro lavoro. E lui
che fa? Le ruba la scena e le chiede la mano in mondovisione, ottenendo così il
duplice risultato da un lato di non lasciarla gioire autonomamente e in libertà
per un suo successo personale, e contemporaneamente – forse – ricordarle che
forse da domani sarà meglio che programmi la sua vita in maniera diversa (vedi
gravidanze, figli, incombenze famigliari ecc. ecc.). Lei dice sì e piange (ah
Freud!).
3. La bandiera dell’Europa.
Sarà un caso, o forse no. Ma la prima, e a quanto ne so, unica atleta che,
salita sul podio, ha voluto mostrare la bandiera europea oltre a quella del suo
stato, l’Italia, è la nostra spadaccina Elisa Di Francisca. Non so se è un caso
che questo pensiero sia sorto in una mente femminile, non è in effetti
importante. È invece importante e bello che si faccia strada, seppure con
difficoltà, l’idea che l’Europa sia qualcosa a cui apparteniamo tutti e che ci
appartiene. Un patrimonio morale e culturale di cui essere fieri e per cui,
letteralmente, fare il tifo. Brava Elisa.
4. Simone Biles. Un mito.
Una giovane donna afroamericana, con alle spalle una vita non proprio
facilissima, che si mostra piena di energia, fantasia e voglia di vivere. E
che, soprattutto, fa quello che tutte le donne, che siano atlete o no,
vorrebbero fare. Lei vola. A differenza di (quasi) tutte le altre però, non lo
fa con la fantasia, o con progetti esistenziali di grande portata, però, no.
Lei proprio vola, fisicamente volteggia nell’aria con infinita grazia sfidando
le leggi della fisica e della gravità. E vince. Da prendere ad esempio, per
l’impegno, per il coraggio e per la personalità. E poi, almeno come metafora,
perché vola.