Bianca. Un racconto breve

Qui di seguito pubblico un racconto con cui ho partecipato al Premio Ioracconto 2013. Il testo è stato pubblicato sul libro della manifestazione.
Qui ho abbinato al racconto l'immagine di un'opera di Claudia Maina, artista che seguo e stimo (e con cui collaboro). I suoi lavori, intensi, delicatissimi e diafani, mi sembrano molto vicini allo spirito del racconto. 
Buona lettura!


Claudia Maina, VI CIMICE 2009, Particolare installazione
Foto di Matteo Girola


Bianca

Racconto breve di Maria Cristina Strati


Questa è la storia di una pagina bianca. Anzi, Bianca, perché la pagina di cui qui si narra aveva un nome proprio e si chiamava Bianca. Bianca non era una di quelle pagine che stanno al fondo di un libro per fare numero per esigenze di stampa, e nemmeno una a righe o a quadretti di un quaderno di scuola. Quelle pagine lì hanno vita facile, sanno che resteranno bianche per sempre, tutt’al più ingialliranno nel tempo, è il loro destino e non c’è nulla da fare; oppure invece sanno per certo che saranno scritte, magari da bambini svogliati che aspettano l’intervallo.
Bianca invece era bianca perché aspettava di essere riempita dalla fantasia di qualcuno là fuori, che però a quanto pare non aveva nulla da dire, e la cosa era molto triste. A volte lei era così scoraggiata da dubitare di sé. Forse non era che un inutile foglio, pensava, legato da una spirale nera a tanti altri tutti uguali e vuoti. E mentre lei si sentiva tanto male, quel qualcuno là fuori, invece di inventarsi qualcosa e scrivere, non smetteva di fare le cose più stupide e prive di significato - come parlare al telefono, guardare foto cretine di sconosciuti su un social o giocare a un gioco senza senso alla playstation.
La notte, Bianca faceva sogni incredibili. Fantasticava di volare via, magari farsi strappare, trasformarsi in un aeroplanino e lasciarsi trasportare dal vento per arrivare chissà dove. Di giorno sognava invece ad occhi aperti: avrebbe voluto contenere qualcosa, anche solo un appunto, uno schizzo, un’immagine o un pensiero. Qualche volta quello là fuori prendeva in mano una matita e faceva il gesto di scrivere: ma poi scuoteva la testa, posava tutto e lei restava bianca come prima.
E dire che Bianca apparteneva a un bel quaderno, e sapeva di essere una pagina importante perché stava lì all’inizio, subito dopo la copertina. Era stata comprata un giorno di marzo, se lo ricordava ancora.
Quel giorno c’era vento ed era possibile respirare un po’ ovunque il sentore allegro e intenso della primavera che si annuncia. Lei era nel suo quaderno senza proprietari, appoggiato sullo scaffale di una libreria del centro. Sembrava un giorno qualunque, perché dentro il negozio l’odore della primavera non era arrivato ancora, se non per certe zaffate di vento quando la porta a vetri apriva e chiudeva, in automatico, al passaggio di un cliente.
Poi, a un certo punto, verso metà mattina, era entrato lui. Era un tipo sui quaranta o giù di lì e gironzolava curiosando tra gli scaffali, come uno che ha deciso di dedicare un po’ di tempo a sé ed è contento. Aveva preso il quaderno in mano e lo aveva sfogliato. Lei aveva notato subito le sue belle mani curate, grandi e forti; gli occhi azzurri, limpidi; e il viso, con l’espressione emozionata di un bambino felice che fa un gioco segreto. Bianca pensò che era simpatico. Dai tratti del volto e dalla luce degli occhi, si era immaginata che quell’uomo fosse pieno di bellissime idee e che le avrebbe scritte tutte cominciando proprio da lei.
Così, quando lui prese il quaderno e lo portò alla cassa, a lei sembrò si sentirsi scoppiare il cuore dall’emozione. L’uomo aveva sporto il quaderno a una signorina dalle mani fredde e il sorriso cortese, che lo aveva riposto in una busta. Lui aveva pagato, preso la busta e poi era uscito.
Come sappiamo c’era vento e, nonostante l’inquinamento cittadino, la primavera bussava decisa alle porte di quella mattina. L’aria aveva l’odore dei fiori, dell’erba tagliata del prato di un parco, forse anche del profumo di una bella donna che stava passando di là in quel momento. Infatti l’uomo dagli occhi chiari si era voltato a guardarla e lei aveva ricambiato con un sorriso ed era andata via.
L’uomo era di buon umore e, a un certo punto, senza smettere di camminare, aveva tirato fuori il quaderno dalla busta e lo aveva aperto. Bianca, che si sentiva già pronta per essere scritta, aveva avvertito con un po’ di turbamento il vento spostarla un po’ e le mani dell’uomo rimetterla a posto, sorridendo divertito. La busta invece era volata via dalle sue mani e lui non l’aveva raccolta; anzi si era voltato a guardarla volteggiare in alto, vicino alla finestra di un palazzo e poi cadere come un piccolo paracadute di cellophane e rialzarsi di nuovo un altro po’. Era tutto così poetico. Bianca pensò che l’uomo si sarebbe subito messo a scrivere qualche appunto. Forse avrebbe scritto una poesia sulla primavera, sui fogli di carta, sulla donna profumata di prima o sul cellophane. Lui però non aveva scritto niente e camminava. Ora si era messo il quaderno sotto il braccio e ne toccava distrattamente la copertina, come uno che ha tante idee e non sa da dove cominciare. Bianca, che non vedeva l’ora di sapere tutto di lui, si godeva già adesso quel contatto così intimo. Forse avrebbe scritto un diario personalissimo? Oppure pensava a un romanzo avventuroso? Ancora non si poteva dire.
L’uomo si era seduto ad un caffè, aveva ordinato qualcosa (un macchiato caldo e una brioche, grazie!). Poi tutto contento aveva tirato fuori dalla tasca della giacca una matita, aveva aperto il quaderno e per un attimo lui e Bianca erano rimasti lì, uno di fronte all’altro, a guardarsi: un uomo dagli occhi chiari e le mani grandi e una pagina emozionata, che non poteva nemmeno arrossire e doveva solo aspettare e vedere che succedeva. Il vento la muoveva leggermente, a dire il vero con un rumore un po’ imbarazzante tipo sciaf sciaf.  Passarono così due lunghissimi minuti. Ma quando lui forse stava per iniziare a buttare giù qualcosa, arrivò il cameriere con il caffè e questo bastò a distrarlo.
L’uomo ripose il quaderno senza chiuderlo, in un angolo del tavolino. Bianca era ancora scossa dal vento e lui gli mise sopra non troppo educatamente un portacenere che la tenesse ferma. Ora sembrava pensieroso, senza l’espressione leggera e di buon umore di poco prima. I suoi occhi adesso vagavano in giro, mentre prendeva il caffè. Si mise a sbriciolare un po’ di brioche per dare da mangiare a un passerotto, addentò la brioche lui stesso. Poi Bianca vide chiudere su di sé la copertina, sentì l’uomo che si alzava e prendeva il quaderno sotto il braccio, un po’ svogliato, e tornava verso casa a passi lunghi e annoiati.
Più tardi Bianca sentì che il quaderno veniva posato malamente in un angolo di una scrivania, in mezzo a libri, fogli A4 mezzi scritti, due riviste di cinema, alcuni libri, tre penne, una lattina vuota e una matita. C’era disordine e polvere in quella casa, e anche un gatto, che presto  – cosa non molto piacevole per Bianca - si mise a mordicchiare un po’ la copertina del quaderno agli angoli, emettendo sommessi versi di inequivocabile ludibrio felino.
Passarono i giorni. L’uomo ogni tanto arrivava, sembrava ben intenzionato, apriva il quaderno e guardava Bianca. Anche lei guardava lui, aspettava, ansiosa, a disagio come se fosse nuda. Ma lui niente, non scriveva nulla. Cosa sarà? Si chiedeva lei, forse il bianco? Il vuoto? il silenzio? Ma in quel bilocale mansardato e banalissimo, che qualche volta sapeva d’incenso, non c’era silenzio. C’era musica, tante parole, il gatto, giochi e ospiti che discutevano, donne con cui l’uomo dagli occhi chiari faceva l’amore; ma niente silenzio.
L’uomo dagli occhi chiari non scriveva niente, neppure un verso, e Bianca si sentiva così frustrata. Avrebbe preferito essere strappata e fatta cappellino per la testa di un imbianchino che dipinge una stanza, oppure barchetta, per affondare gioiosamente nell’acqua di una fontana tra le piccole dita di un bambino. Invece era lì, vuota per forza, che quasi voleva suggerire lei stessa un’idea, se solo avesse potuto. Era così disperata!
Il tempo passava e a volte le sembrava che l’uomo dagli occhi chiari ormai persino soffrisse a guardarla, così bianca e muta. Poi, una sera, aveva visto scendere una lacrima giù dai suoi occhi chiari e bagnare la carta, e allora si era sentita impotente e triste come mai nella sua vita.
Fu così che un giorno Bianca si fece coraggio. Anzi, fu una notte d’estate. L’uomo dagli occhi chiari non riusciva a dormire, si alzò e fece la solita scena: la guardò e non riuscì a scrivere. Però stavolta restò lì a guardare Bianca, senza far nulla, con la testa vuota di pensieri.
La finestra della stanza era aperta, entrava un venticello leggero, piacevole e calmo. Fu allora che Bianca, tremando, sospirò. Come, sospirò? Come si fa a dire che una pagina sospira? Forse non fu nulla, o solo un soffio leggerissimo. Giusto il rumore che fa un desiderio.
La cosa strana è che all’uomo dagli occhi azzurri parve di sentirlo, quel sospiro. Anche il gatto alzò le orecchie per un secondo, attento, poi tornò ad acciambellarsi tranquillo e tutto tornò come prima.
Sarà stata una fantasia, un fantasma, uno spirito, o chi lo sa, pensò l’uomo dagli occhi chiari. Eppure qualcosa si era mosso: forse era il vento, oppure le parole che volavano nell’aria ancora zitte, ma già pronte per scendere sul foglio - o il respiro di una pagina Bianca, se solo le pagine potessero respirare.
L’uomo dagli occhi chiari e le mani grandi adesso sembrava curioso, come se qualcosa si fosse acceso dentro di lui: piano piano sentiva nascergli dentro parole da scrivere, al vento e alla notte.

Bianca lesse nel suo sguardo azzurro un pochino di allegria (proprio poca poca, ma era lì) e si ricordò dell’odore del vento di primavera. Se ne ricordò anche lui e sorrise. Restarono per un po’ così, lui sveglio e lei ancora tutta bianca. Fu un bellissimo silenzio, ma lungo solo un secondo: poi la storia cominciò.