Cyprien Gaillard @ PS1 NYC


Crystal World. Cyprien Gaillard al Moma PS1 di New York

Di Maria Cristina Strati

Articolo pubblicato su Juliet n. 162, aprile - maggio 2013, pp. 50/51

 
Cyprien Gaillard @ PS1 NY 2013
Courtesy Gallery Bugada & Cargnel, Paris

Cyprien Gaillard è oggi considerato uno degli artisti emergenti a livello internazionale di maggiore interesse e talento.
Nato a Parigi nel 1980, Gaillard vive tra Berlino e New York, è rappresentato dalla Galleria Bugada et Cargnel di Parigi e, dal 2007 ad oggi, ha esposto i suoi lavori e progetti in sedi prestigiosissime in tutto il mondo: dal National Museum of Art di Osaka e al Mori Art Museum di Tokyo, in Giappone, al Museum of Contemporary Art di Chicago, passando per il Museum für Gegenwart di Berlino e la Tate Modern di Londra, per citarne soltanto alcune.
Per quanto riguarda l’Italia, lo scorso autunno a Milano, presso la Fondazione Trussardi, ha avuto luogo la sua personale fino ad ora più significativa (da segnalare in precedenza la collaborazione con la galleria Maze di Torino, che oggi non esiste più). La mostra, curata da Massimiliano Gioni, portava il titolo Rubble and Revelation, ovvero “rovine e rivelazioni”, e si soffermava su una delle tematiche maggiormente care all’artista: il tema, appunto, delle rovine, sia nel senso dei monumenti e dei resti del passato artistico e culturale, quanto della più moderna archeologia industriale, con i suoi non-luoghi in stato di abbandono.
Oggi Cyprien Gaillard approda al Moma PS1 di New York con una mostra personale dal titolo Cyprien Gaillard: The Crystal World, che ne traccia il percorso artistico recente. Organizzata da Klaus Biesenbach, l’esposizione ha inaugurato lo scorso 20 gennaio e proseguirà fino a fine marzo.
Si tratta della prima mostra personale di Gaillard nella Grande Mela, e ha tutta l’aria di volerne ratificare il successo internazionale, qualificando il giovane artista francese come una delle stelle emergenti del mondo delle arti visive.
Tema fondamentale del lavoro di Cyprien Gaillard è l’indagine delle possibili relazioni tra ambienti naturali e architettonici. Gli uni e gli altri, dal suo punto di vista, cessano però di apparire come meri spazi fisici per assurgere allo status di luoghi mentali, psicologici e densi di interiorità, rivelandosi ricchi di significati, rimandi e contenuti e forieri di pressoché infinite interpretazioni.
Ricorrendo a mezzi e linguaggi espressivi diversi – dalla pittura alla scultura, alla fotografia, al film, al video, fino alla tecnica del frottage, anche su grandi dimensioni – Gaillard dà vita a composizioni intensamente poetiche, ma sempre di un marcato gusto minimale. In modo particolare, quando la sua ricerca si avvicina alla land art o si sofferma sul paesaggio urbano, i risultati hanno sempre a che fare con una sensibilità visiva molto intensa di matrice concettuale.

Cyprien Gaillard @ PS1 NY 2013
Courtesy Gallery Bugada & Cargnel, Paris


Ad esempio in The Recovery of Discovery (2011), esposto per la prima volta al KW Institute for Contemporary Art di Berlino, Gaillard si concentra su un tema insieme curioso e denso di conseguenze dal punto di vista filosofico e concettuale: la dislocazione dei monumenti storico artistici. A volte, per tutelare un monumento o un’opera di grande valore artistico, capita che questa venga spostata in un altro luogo, diverso da quello originario, e sostituita con una copia. (Si pensi ad esempio al David di Michelangelo, o ad altri numerosissimi casi in Italia). Gaillard prende in considerazione le conseguenze di tali azioni “conservative” interrogandosi sugli effetti che queste sortiscono sul paesaggio e sul contesto urbano, in un gioco potenzialmente inesauribile di contestualizzazioni e ricontestualizzazioni, in cui, per altro, vengono messe in discussione le stesse nozioni di storicità e di identità del monumento: ovvero anche la sua verità - o meglio, veridicità - dal punto di vista del pubblico e della sua esperienza concreta.
Così, nel video Cities of Gold and Mirrors (2009), interamente girato a Cancun, in Messico, il tema del rapporto tra tradizione culturale e innovazione urbanistica e tecnologica viene indagato dal punto di vista dell’antica civiltà Maya, cui si contrappongono i vari resort turistici di recente costruzione.  
In maniera simile il lavoro Artefacts (2011) si configura come una riflessione sul mito di Babilonia: anche qui, alle scene decadenti e drammatiche dei paesaggi irakeni dopo la guerra, sono contrapposte le immagini dell’antica civiltà babilonese, rappresentata ad esempio dalla Porta di Ishtar, che dal 1930 si trova al Museo Pergamon di Berlino.
In ognuno di questi lavori è importante la messa in gioco di due istanze temporali, tra presente e passato: o meglio tra riattualizzazione del passato remoto che costituisce il nostro bagaglio di tradizioni e l’urgenza del presente effettivo e contingente, gravido di un futuro che avvertiamo però come fragile e incerto.
Per questa ragione il confronto avviene sempre per mezzo di ricercati anacronismi, come accade, ad esempio, per il video girato interamente con il cellulare dell’artista e poi portato su pellicola a 35mm, trasmesso in loop nella sede espositiva.
Gaillard punta insomma il dito su argomenti che, in periodi intensi e presagi di imminenti e decisive svolte epocali, come pare essere il nostro, rivelano un interesse del tutto condivisibile. Qual è il rapporto tra ciò che è passato e ormai obsoleto, e ciò che è vitale e nuovo nella nostra cultura occidentale? Che cosa rimarrà come inestimabile patrimonio per le generazioni future, e che cosa invece è destinato a trascorrere per sempre, portando su di sé i segni del tempo?
I lavori di Gaillard pongono in luce un senso di fragilità e precarietà che risulta particolarmente visibile nel rapporto con il territorio, sia esso naturale o urbano e architettonico.
Nella serie di lavori Geographical Analogies (2006-2011) ad esempio, Gaillard dà vita a una specie di personalissimo atlante universale, fatto di polaroid scattate dallo stesso artista nel corso degli anni.
I rapporti visivi e le corrispondenze estetiche tra le immagini dei luoghi fotografati si rivelano spesso inattese e sorprendenti, in una sorta di semantica psicologica ed emotiva che crea possibili dialoghi e legami tra luoghi anche molto lontani tra loro dal punto di vista geografico.
Qui, come in altri casi, il lavoro di Gaillard si muove volontariamente per intuizioni, associazioni visive quasi idiosincratiche tra rovine del passato e luoghi moderni, dominati da architetture dismesse e non più abitate.
Al centro della sua riflessione teorica è la nozione di entropia, da intendersi nel senso umanistico, quasi letterario del termine. Ogni luogo, sia esso un luogo fisico o della mente, in ogni momento cambia, si evolve, è diverso da sé stesso: e ciò accade in maniera incancellabile, senza mai poter tornare indietro. Ci sono perciò cambiamenti, rivoluzioni e spostamenti di prospettiva decisivi, che il tempo non può estinguere, e che invece condizionano il nostro stesso modo di stare al mondo, di relazionarci con il contesto in cui abitiamo, sia esso il contesto sociale, storico, architettonico, naturale o artistico.
Vengono in mente le nozioni di non-monumento e di de-architetturizzazione teorizzate negli anni sessanta dal grande Robert Smithson, il quale è sicuramente da tenere presente tra i maggiori ispiratori e, per così dire, “maestri morali” della ricerca artistica di Cyprien Gaillard, oppure il concetto di “anarchitettura” di Gordon Matta-Clarck.
Il modo ossessivo in cui Gaillard mette a confronto presente e passato, rovine antiche e più prossime nel tempo, affonda quindi le radici nella storia dell’arte contemporanea recente, proponendosi a sua volta come un approfondimento meditato e consapevole, vagamente post-modernista, di un’eredità culturale di inestimabile valore. L’atteggiamento interpretativo proposto nelle opere dell’artista francese è infatti sapientemente declinato nel linguaggio dell’arte concettuale, come si è detto, secondo scelte minimaliste sempre eleganti e dense di spunti evocativi.
Cyprien Gaillard si rivela dunque pienamente in grado di imporsi nell’attuale panorama artistico internazionale, grazie all’uso di un linguaggio che ricorre con intelligenza a un vocabolario artistico mai passato di moda, ma sempre in grado di rendere conto di questioni attualissime, foriere di riflessioni profonde e urgenti.