TASTE OF GREAT


Kristen Pieroth da Franco Noero, a Torino

Articolo pubblicato su Juliet n. 160, dicembre 2012- gennaio 2013


di Maria Cristina Strati

Il celebre psichiatra Carl Gustav Jung definiva “sincronici” due eventi che appaiono nel loro accadere l’uno legato all’altro, senza che però tra di loro esista alcun reale rapporto logico di causa e effetto. Un fattore sincronico sembra dunque aver condizionato, almeno in parte, la stagione espositiva estiva e autunnale 2012 del capoluogo sabaudo, grazie a due eventi di grande richiamo e interesse internazionale.



Infatti, curiosamente, mentre da luglio a novembre presso la Reggia di Venaria era possibile vistare un’ampia esposizione dedicata allo storico gioielliere russo Fabergé, dall’estate fino ad ottobre 2012 la Galleria Franco Noero di Torino ha ospitato una mostra personale di Kristen Pieroth dal titolo “Taste of Great”, appunto ironicamente ispirata alle famose Uova Imperiali.
Così, mentre nella sede storica di Venaria si potevano osservare con contegnosa meraviglia le uova originali e preziosissime create nel XVIII secolo dal Signor Karl Gustavovič Faberže, l’altrettanto storica sede della Fetta di Polenta, in pieno centro a Torino, ospitava una loro tagliente rivisitazione in una mostra intensissima e particolarmente stimolante dal punto di vista intellettuale.
Kristen Pieroth, classe 1970, vive e lavora a Berlino. Tra le sue precedenti esperienze espositive sono da ricordare la personale presso il Contemporary Art Museum di Houston nel 2010 e varie collettive in sedi prestigiose, tra cui la Tate Modern di Londra (2007) l’Australian Centre for Contemporary Art (2011) e la Biennale di Istanbul (2012).
Il lavoro di Pieroth si avvale di uno stile sintetico, essenziale, vagamente, ma rigorosamente sarcastico, che punta sull’intelligenza. La qualità estetica della produzione artistica è qui da intendersi nel senso profondo e filosofico dell’aisthesis, ossia dell’immediatezza della percezione. I materiali, la loro resa, il colore e le loro qualità tattili e fisiche sono infatti fondamentali e decisivi rispetto al conseguimento del risultato voluto dall’artista, pur risaltando non nella loro bellezza in senso classico, quanto piuttosto per la loro qualità sensoriale, poi soggetta alla conseguente interpretazione e rielaborazione intellettuale.
Nel caso specifico la mostra presso la Galleria di Franco Noero ha avuto luogo presso la sede di Via Giulia di Barolo, Casa Scaccabarozzi, più nota come dai torinesi come “Fetta di Polenta” per la sua caratteristica forma, risultato delle magie e sperimentazioni architettoniche dell’Antonelli.
Come molti sanno, tra pochi mesi Noero approderà a una nuova sede per la sua galleria, mentre Casa Scaccabarozzi pur rimanendo in parte visitabile dal pubblico, assumerà un ruolo meno centrale rispetto alla programmazione espositiva. La mostra di Pieroth sulle uova non poteva trovare però una location più adatta di questa. Storica e sperimentale al contempo, la Fetta di Polenta fa infatti qui perfettamente la sua parte nell’esaltare il percorso espositivo e la sua dimensione insieme ironica e ricercata.
Il lavoro di Pieroth infatti capovolge letteralmente la visione di Fabergé. Così come la Maison Fabergé disegnava per lo Zar delle Russie uova commemorative per ogni evento di grande rilievo, decorate in maniera preziosissima e sempre in modo simbolico, Pieroth crea a sua volta uova commemorative, ma con materiali estremamente poveri come il gesso, l’intonaco grezzo o addirittura il fango.



Al posto delle decorazioni e degli sfarzosi ritratti trovano posto piccoli braccialetti insignificanti, un penny, qualche monetina, scritte simili a quelle lasciate dai muratori sulle pareti da imbiancare in fase di costruzione, con indicazioni di date o numeri.
Ad esempio già all’ingresso, al piano terra della famosa costruzione antonelliana, è posto davanti ai nostri passi un uovo di grandi dimensioni, visibilmente imperfetto nella forma e interamente realizzato in gesso.  Si tratta dell’opera Relativity Egg, del 2012. L’oggetto accoglie il visitatore con un effetto di discreto impatto, per la sua forma volutamente imprecisa e le dimensioni fuori misura. Agli occhi dello spettatore appare immediatamente come l’uovo non sia sfarzoso, né ricco. Al contrario esso si mostra grezzo e povero, troppo grosso, persino goffo e pesante.
Per terra, accanto all’uovo, l’artista pone inoltre un piccolo bilancino, con il quale non si potrebbe mai pesare l’uovo gigantesco.  La bilancia è utile proprio ad esaltare la mancanza di misura, di proporzione e di leggerezza.
Il concetto in gioco è qui infatti la gravezza dell’uovo, la sua grossolanità un po’ beffarda, che ben incarna l’ironia tagliente e sintetica che la anima. Laddove per Fabergé l’uovo è armonia leggera e delicatissima, qui l’oggetto diventa ponderoso e impacciato, sproporzionato e stolido nella sua inaggirabile presenza.
Esso diventa così il simbolo di un mondo che, come quello in cui noi oggi viviamo, fa riferimento a valori che spesso deludono tragicamente le aspettative.
L’uovo in particolare è tradizionalmente il simbolo della vita che si genera, della speranza e del rinnovamento. Qui, attorno al simbolo naturale, si trae una sorta di linea che collega tra loro due estremi: da un lato le uova gioiello, dall’altra i loro scimmiottamenti fatti di fango e gesso. Ma i due capi della linea appaiono entrambi svuotati di senso. Nelle intenzioni dell’artista pare allora che queste uova, prive di vita, abbiano perso ogni potere simbolico di rinascita: tanto che siano preziose o meno, esse appaiono comunque vuote e puntano così il dito nella piaga aperta delle carenze esistenziali che molto spesso caratterizzano la nostra epoca contemporanea.
Lo spirito di questa ricerca ispira poi Kristen Pieroth in lavori ancora più ironici. Al modo di Fabergé, ma con tutt’altri toni, Pieroth sottolinea nei suoi lavori alcuni momenti o svolte epocali del nostro tempo. E se Fabergé realizzava uova ridondanti, ricche e piene di dettagli, Pieroth propone lavori laconici, che vanno dritti al punto.




Nascono così opere come Google Earth Egg, 2012, che imita con tono di sberleffo le mappe di Google; Egg Space Shuttle, 2012, è invece sul tema della ricerca in ambito spaziale; mentre Twentyfourseven Egg, 2012 è un’opera pensata per discutere temi oggi particolarmente urgenti e potenzialmente ansiogeni in ambito sociale, quali la flessibilità e la performatività in ambito lavorativo.
Infine The Great Illusionist Egg, 2012 è un uovo dedicato a Houdini e di conseguenza, metaforicamente, al desiderio oggi assai comune e diffuso di potersi infine districare da legami e valori ormai vissuti come inutili e vetusti, per ritornare a sentirsi leggeri e liberi di muoversi.
In altre parole, da un certo punto di vista, il lavoro di Pieroth sembra rappresentare una sorta di benefico scossone: l’atto di liberarsi con un solo gesto di tutto ciò che si rivela un inutile appesantimento del nostro vivere quotidiano e sociale. Allora metaforici orpelli e stucchi barocchi vanno in pezzi: come il guscio di un uovo che si frantuma, sotto i colpi di una nuova e più libera vita che si affaccia.


Per le immagini: Courtesy the artist and Galleria Franco Noero, Torino
Photo credits: Sebastiano Pellion di Persano