Temi perenni

Intervista a Paolo Grassino

Pubblicato su Espoarte n. 77, vol. 3 - 2012



Di Maria Cristina Strati

Il lavoro di Paolo Grassino, ormai riconosciuto per le sue intense qualità in Italia e all’estero, è dotato di una particolare qualità evocativa: osservando le sue opere si ha subito la sensazione di entrare in un mondo poetico intenso e pieno di significato, che mette in gioco al contempo gli aspetti sensoriali e percettivi della fruizione dell’opera nella sua dimensione spaziale e fisica, con la profondità della ricerca dal punto di vista concettuale.
Nel corso dell’intervista che segue ho avuto occasione di indagare con lui alcuni aspetti della ricerca e di conoscere il suo punto di vista a proposito di alcune questioni di attualità in ambito artistico.

Maria Cristina Strati: Il tuo lavoro ha una qualità particolarmente intensa, che unisce la bellezza estetica del risultato alla profondità della ricerca e del contenuto anche poetico del lavoro. Come nascono i tuoi progetti? Che linea di evoluzione segue oggi il tuo lavoro?

 Paolo Grassino: I miei lavori si nascono a partire da avvenimenti vissuti personalmente o da fatti del nostro quotidiano. Cerco di individuare una relazione tra questi eventi con tematiche o soggetti che nel tempo non variano. Questi soggetti a me piace chiamarli “temi perenni”: sono cioè quelle questioni che sono sempre state affrontate dal “fare arte”, che nel mio caso sono naturalmente viste e vissute nel contesto contemporaneo. Questi temi si potrebbero anche chiamare “scorie vive” del nostro passato, residui del tempo trascorso che riemergono oggi nel nostro quotidiano. Perciò non ritengo che si possa parlare di “evoluzione”. Credo che il mio lavoro sia più un “aggiungere”, cioè un inserire elementi senza tralasciare sperimentazioni passate. Osservo il mio lavoro nella sua totalità come un grande ed unico progetto.

MCS: Penso che il tuo lavoro si muova con disinvoltura tra due estremi: il materico e il simbolico, il mondo umano e animale, l’ambito metaforico e quello della concreta percezione dell’opera, riuscendo sempre a toccare da vicino l’immaginazione dei fruitori. Condividi questa lettura?

PG: Questa è una buona chiave di lettura. Per me è importante avvicinare l’”osservatore”, anche perché ritengo che il fruitore, in molti casi, sia un elemento indispensabile dell’opera stessa. Voglio che egli “entri” letteralmente nel mio lavoro.  I vari progetti da me realizzati sono sempre pensati con l’aggiunta di colui che si confronta con il prodotto artistico. Solo con questa aggiunta si dischiude il dialogo. In un certo senso così io fornisco all’estetica dell’opera la possibilità di un accesso al secondo piano di lettura del lavoro.

MCS: Recentemente hai presentato un tuo progetto a Beaufort in un'occasione particolarmente importante. Puoi parlarmi del progetto e dell'esperienza?

 PG: Phillip Van den Bossche, curatore della quarta edizione di Beaufort, ha conosciuto il mio lavoro nella Galleria Mario Mauroner di Vienna. La Triennale si svolge sui 64 km. della costa del Belgio, quindi i 20 artisti invitati sono dislocati a parecchi chilometri di distanza tra loro. Le coste del Belgio sono veramente un luogo suggestivo : spiagge deserte ed enormi ,  vento e  mare fortissimi. Sarebbe molto complicato lavorare in un luogo simile se non ci fosse un’ organizzazione per l’evento molto efficiente e professionale. Sulla spiaggia di Bredene, a pochi chilometri da Ostende, ho realizzato una nuova versione di “Analgesia”, un lavoro con un tema da me affrontato già alcuni anni fa: la mancanza di coscienza del dolore. L’installazione consiste in tre macchine abitate da un branco di 18 cani, il tutto in fusione di alluminio. E’ stato un grande sforzo che, grazie alla collaborazione della Fonderia artistica di Piero de Carli,  sono riuscito a realizzare.



MCS: Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Mostre in programma?

PG: Per l’autunno, con Pierluigi Pusole, stiamo preparando una doppia personale alla Fondazione 107 di Torino. E’ un progetto che sviluppiamo da circa un anno. Sempre  in autunno inizierò a lavorare con una nuova galleria di Zurigo. A Ottobre parteciperò ad una doppia personale nella sede di Berlino della Galleria Delloro con il duo Martine Feipel e Jean Bechameil. Sempre a Ottobre sarò presente al “Neue Kunst in alten Gaerten” di Hannover.

MCS: Per finire ti pongo una domanda di carattere più generale. Negli ultimi decenni Torino è stata più volte indicata come la “Capitale dell’arte contemporanea” in Italia. Oggi questa definizione appare forse, purtroppo, lontana dal vero. Tra gli artisti di Torino emersi a livello nazionale e internazionale tu sei sicuramente uno dei più giustamente apprezzati, amati e seguiti insieme a pochissimi altri. Che cosa pensi della situazione torinese di oggi? Siamo ancora la capitale dell’arte contemporanea? Che consiglio daresti ai giovani artisti?

PG: Sì, forse è così. Torino è stata la capitale dell’arte contemporanea in Italia, ma non ha saputo investire nel modo giusto sulle nuove generazioni, non solo con gli artisti ma anche con i critici d’arte. E’ una città arenata sulle piccole e inutili lobby provinciali. L’errore, a mio vedere, non è solo di Torino, è una situazione generalizzata su tutto il territorio nazionale e  nei campi che fanno ricerca. Tutto ciò non poteva reggere nel tempo. Oggi ci ritroviamo in una situazione implosa, un grande spreco di teste ed economia. Cosa poter dire alle generazioni più giovani? Di fare “corpo” con i propri coetanei e colleghi mettendo da parte l’individualismo.


Per le immagini Courtesy Galleria Persano, Torino e l'artista