Giuseppe Ciracì - Qualcosa del Rinascimento che arriva fino a noi

Testo in catalogo per la mostra personale di Giuseppe Ciracì DIALOGO CON LEONARDO, a cura di Massimo Guastella Inaugurazione 10 giugno 2012, Museo dell'Arte Presente, Le Scuole Pie, Brindisi
“E allora perché, domando a voi, colleghi italiani, che avete nel sangue della vostra psiche il Rinascimento, di cui a tutt’oggi si nutre l’intera Europa, perché mai venite a cercare la psicologia da noi, nel Nord (…) quando la vostra terra custodisce una psicologia così straordinaria?” James Hillman, L’anima del mondo e il pensiero del cuore (tr.it. p. 32)
Nei suoi lavori più recenti Giuseppe Ciracì si concentra sul disegno. Nella mostra presso il MAP, Museo dell’Arte Presente di Brindisi, non ci sono tele, ma solo carte e disegni allestiti in maniere diversamente elaborate. Ciò accade non solo per esigenze espositive, data la location storica di un’antica chiesa barocca, ma anche per un’intima necessità che riguarda il tema più attuale della ricerca di Ciracì in questo preciso momento del suo percorso artistico. Il tema leonardesco qui maggiormente indagato è quello dell’origine fisica e spirituale dell’uomo. Tutto il lavoro in mostra è imperniato sulla figura storica, la teoria e l’arte di Leonardo da Vinci. In modo specifico, l’installazione posta a pavimento, al centro della sala (anch’essa composta di disegni) s’ispira alla teoria leonardesca dell’Uomo Vitruviano, elaborandone una particolare lettura. Gli altri lavori esposti, posto ognuno su uno dei tre altari della chiesa, s’ispirano invece al ciclo dei 600 bozzetti conservati al Castello di Windsor, che hanno per oggetto studi di anatomia, e ne portano i titoli. Nonostante il riferimento esplicito all’opera di un così grande genio della storia dell’arte, i lavori sono poi concepiti in maniera personale, secondo una modalità di ricerca e composizione ideata dall’artista con il fine di esaltare alcune caratteristiche dei soggetti da lui prescelti. I bozzetti leonardeschi sono prima stampati, poi, sulle stampe l’artista sovrappone altre immagini di volti e figure. Sulla base del disegno antico si stagliano così ritratti di persone vicine all’artista, riprese nei loro volti oppure in parti del loro corpo, i cui lineamenti sono però riprodotti solo in parte. Volutamente, l’artista lascia sempre alcune parti bianche, o meglio, vuote e senza alcun tratto di matita, con l’intenzione di sottolineare l’aspetto più vagamente metafisico, di certo non pedissequamente rappresentativo del lavoro. Vuoti e pieni si alternano così quasi ritmicamente. Infine, alcune parti del lavoro, già composto da due livelli di disegni, sono coperte da pezzi di fogli di acetato trasparente, applicati con pezzetti di scotch bianco. In tal modo il disegno si struttura su una ulteriore dimensione, si stratifica e invita a una lettura del lavoro che vada oltre la superficie, intesa tanto in senso metaforico che letterale, delineando un ritmo particolare di velature e inattesi aspetti coloristici. Inoltre, dato che i bozzetti di Leonardo hanno accanto al disegno una parte scritta, un ruolo importante è svolto dal rapporto tra la scrittura leonardesca e i disegni. La scrittura ha anche la funzione di portare alla luce lo studio dei manoscritti di Leonardo, che sono riportati in lingua originale o secondo una parafrasi moderna, magari selezionando un’unica frase e ripetendola ossessivamente. Il risultato finale ribadisce il tema del rapporto tra pieno e vuoto, dove il vuoto, con i suoi echi metafisici, predomina.

L’interesse per Leonardo è sempre stato presente nel lavoro di Giuseppe Ciracì, soprattutto per quanto concerne gli studi di anatomia, ma l’attenzione dell’artista si allarga spesso e volentieri alle teorie artistiche e filosofiche del Rinascimento italiano in generale. Non è raro infatti trovare dei rimandi anche ad altri artisti, come ad esempio Piero della Francesca. Di Leonardo però Giuseppe Ciracì predilige e approfondisce in particolare l’atteggiamento scientifico, la ricerca ossessiva nelle sue opere dei moti e delle bellezze dei corpi. In questo senso, si può affermare che nei lavori di Ciracì il volto si fa corpo, il volto è da intendersi come corpo. Le due argomentazioni, ossia l’attenzione per la ricerca scientifica leonardesca e l’ossessione per la carnalità del volto umano, trovano un loro punto comune nelle tensioni spirituali proprie delle teorie filosofiche rinascimentali di matrice neoplatonica, tese a superare – e quindi, al contempo, inevitabilmente a sottolineare drammaticamente – la tensione irriducibile tra la finitezza dell’uomo e l’infinità del divino, tra macrocosmo e microcosmo. Si delinea così uno spazio ideale e incommensurabile, dove l’infinità è un punto a cui si può tendere asintoticamente, ma mai possedere o cogliere mai del tutto. Un’analoga tensione si libera poi nella dimensione opposta, verso il basso, luogo ideale degli istinti e della corruzione del corpo, come dell’aspetto genitale e generativo. L’uomo rinascimentale si colloca a metà strada tra queste due forze tra loro contrarie e così l’Uomo Vitruviano è insieme simbolo dell’origine spirituale e fisica dell’uomo, il cui corpo si articola intorno all’incrocio delle due diagonali che partono dalla testa e dalle estremità, incrociandosi archimedicamente sui genitali, simbolo di nascita e generazione. L’ardimentoso tentativo rinascimentale volto a superare o almeno a ridurre la tensione tra carne e spirito, è qui visto in una chiave molto moderna. Se l’umanità, al contempo attratta dalle altezze dello spirito e dell’intelletto e spinta in basso dalle passioni istintuali, rinuncia a mediare, allora la misura tra cielo e terra manca. Ma tale mancanza - che si identifica negli spazi vuoti, come respiri spezzati - non fa che mettere in luce una tensione interna, irriducibile e incolmabile per definizione. È una dimensione ricca di una sorta di drammaticità già proto-romantica, che nel lavoro di Giuseppe Ciracì emerge con attualità, adattandosi facilmente ad un sentire consono ai nostri tempi e alla realtà dei vissuti quotidiani della nostra epoca.
In un noto testo dal titolo L’anima del mondo e il pensiero del cuore (trad. it. Adelphi, 2002) lo psichiatra e studioso americano James Hillman, recentemente scomparso, sostiene che, nella prospettiva della psicologia del profondo di matrice junghiana, le teorie rinascimentali sull’uomo possono oggi essere rilette e interpretate in modo innovativo. Dal suo punto di vista tali teorie si qualificano come vere e proprie tesi psicologiche, antesignane di alcune tra le più recenti e attuali scoperte in ambito psicoanalitico. In particolare, l’indagine circa il rapporto tra rinascimento e neoplatonismo consente di individuare alcune nozioni chiave sull’uomo e sull’inconscio. Hillman individua nelle teorie rinascimentali, e in particolare nel pensiero di Marsilio Ficino, un’idea della natura della realtà psichica in grado, a suo parere, di porsi oltre la nozione di soggetto propria della metafisica tradizionale di origine cartesiana. La filosofia di Ficino, che tanto influenzò la produzione artistica a lui coeva, metteva al centro della propria speculazione l’anima umana o, come diremmo oggi, la psiche. Ficino pensava che la psiche fosse distinta in tre parti: la prima era la mente o l’intelletto razionale; la seconda l’idolum, la fantasia, o capacità immaginativa; la terza era il corpo, ossia la parte legata all’istinto e alla natura. In tal modo il filosofo individuava un senso molto profondo di intendere il corpo e l’aspetto carnale dell’essere umano. Lungi dall’identificarsi con una mera pulsione carnale pornografica, esso assurgeva ad una dimensione in cui agli istinti è consegnato un compito fondamentale e decisivo: quello di custodire il segreto della generazione, in senso non soltanto procreativo, ma anche psicologico. La nozione ficiniana di corpo viene inoltre addirittura a coincidere con l’inconscio, il rimosso o, meglio, con l’ombra in senso junghiano. La carnalità assume così una connotazione molto particolare, che ha qualcosa di alchemico: essa è la materia da cui nasce la vita, il luogo oscuro dove il processo generativo o trasformativo si inizia. All’intelletto razionale è dato invece di osservare e riflettere sul suo oggetto. Ma affascinante quanto il discorso sul corpo, nella prospettiva ficiniana, è la funzione della fantasia, la quale serve di fatto a collegare, creando un ponte tra il corpo e l’intelletto. Il suo compito, in certo senso in modo analogo allo schematismo kantiano, è produrre immagini. Diversamente da quanto accade in Kant, l’immaginazione o la fantasia qui è però molto più libera, ha una componente poetica e mitopoietica che ha da fare con l’arte, la poesia e addirittura la mistica. Così, facendosi più vicina alla poesia e all’arte che alla scienza, la fantasia qui misticamente contempla, senza mai (neppure voler) possedere il suo oggetto. Ecco che allora l’incrociarsi delle diagonali in grembo all’Uomo Vitruviano si delinea nelle sue caratteristiche di movimento profondo e intensamente simbolico. La tensione tra le due realtà, corporea e intellettuale, umana e divina, si distende nell’ambito poetico e fantasioso dell’immaginazione. La fantasia non colma il vuoto, la distanza o lo iato tra le due istanze: semplicemente essa lo abita, lo compone e lo muove, designandolo come il grembo ogni volta gravido di una nuova vita in senso anche metaforico.

Nel contesto di questa lettura, i lavori proposti da Giuseppe Ciracì nella sua ricerca sulla visione leonardesca dell’Uomo Vitruviano diventano a loro volta il tramite per una possibile interpretazione di alcuni aspetti della tradizione storico-artistica e filosofica che ci riguarda da vicino. Il lavoro artistico si configura allora come una riflessione consapevole e intensa, luogo non solo ideale dell’intrecciarsi di stimoli e suggestioni differenti, sempre di grande portata evocativa.

Immagini courtesy Giuseppe Ciracì