Questo è il testo in "catalogo" (ma noi la chiamiamo fanzine) per la mostra che inaugura il prossimo 20 ottobre presso Fusion Gallery a Torino... venite numerosi, mi raccomando! Intanto, buona lettura!
(NB: Ho costruito la struttura del testo che segue facendo il verso all’Etica di Spinoza. Perché? Perché non c’entra niente, anzi, proprio per questo… Pronti? Via!)
Mostra personale di Simone Ferrarini, a cura di Maria Cristina Strati,
dimostrata more geometrico con un testo diviso in tre parti, in cui si tratta di:
“I BUONI E I CATTIVI. Non tutto è come sembra”
Postulato 1: Non tutto è come sembra
Dimostrazione: Sapete chi è Marcello Micheluzzi? Non fate finta di conoscerlo, come si fa alle inaugurazioni con i nomi degli artisti più cool appena scoperti da Saatchi o da Jeffrey Deitch e di cui nessuno ha mai sentito parlare (ma guai ad ammetterlo!). Marcello Micheluzzi è un personaggio semi sconosciuto, un italiano qualunque, vissuto negli anni venti del secolo scorso e che passò alla storia per due ragioni diverse e tra loro opposte, almeno dal punto di vista “morale”.
La prima ragione per cui qualcuno si ricorda di Marcello è per una sua foto segnaletica, scattatagli dalla polizia in virtù della sua allora fiorente attività di rapinatore di banche. L’altra ragione, e questa è divertente, è che Marcello Micheluzzi non fu solo un noto bandito dell’epoca, ma anche un inventore riconosciuto. Certo, non scoprì il vaccino per la tubercolosi o l’aria condizionata o altro, non fu così grande, ma è effettivamente ricordato nella storia come l’inventore della sega circolare.
Bene, non state leggendo in anteprima la trama del prossimo film di Woody Allen.
Questa è una mostra di pittura, pensata e realizzata con l’intenzione di mettere allegramente in crisi (noi speriamo in un modo proficuo) alcuni modi di pensare diffusi, socialmente accettabili e convenienti.
In altre parole, per scrivere un bel punto interrogativo davanti, o meglio dietro a tutte le idee preconcette che fanno giudicare in fretta e comodamente, magari ricorrendo a cliché e luoghi comuni frusti e stereotipati, tanto per sistemare la coscienza e non rischiare di mettere in gioco noi stessi, la nostra immagine e le idee a cui siamo affezionati. E forse anche per rendere la vita un po’ più monotona e meno interessante.
La mostra si compone di una serie di tele di grandi dimensioni (1,60x3 m), appese al soffitto in modo da creare un vero e proprio percorso, che parte dalla pittura e ci passa fisicamente attraverso: da alcuni grandissimi della storia dell’arte e della musica rock ai miti del cinema, fino santi della tradizione, passando per Yoko Ono, i Beatles e molti altri. Da una parte i buoni, dall’altra i cattivi, alcuni su sfondo scuro, altri che campeggiano su tele chiare e luminose.
Ma chi è buono e chi è cattivo? Attenzione, non tutto è come sembra.
Postulato 2: La pittura non è fatta per decorare gli appartamenti
Dimostrazione: Nel contesto di questa mostra, ci sono alcune cose da tenere a mente. La più importante è che il lavoro di Ferrarini dà il suo meglio quando può essere essenzialmente libero, diretto, onesto e sporco quanto basta. È un’azione artistica che coinvolge apertamente le persone, lo spazio e le cose, e a cui non manca di certo il carattere e la personalità. Non è un lavoro che ha tanto da fare con le parole, è piuttosto qualcosa da vedere, o forse soprattutto da vivere e da percepire.
Questa è “solo” pittura: non aspettatevi altro. Ma non è una pittura da salotto. E fate (di nuovo) attenzione perché, come diceva Picasso “la pittura non è fatta per decorare gli appartamenti. È uno strumento di guerra offensiva e difensiva contro il nemico”.
Di che guerra stiamo parlando? Tante battaglie e nessuna o, se volete, tutte, tutte quelle giuste e per cui vale la pena spendersi, probabilmente.
Ma se qui di guerra si tratta, è però soprattutto nel senso (come dice Morgan in una canzone, permettetemi la citazione da “italiana media”) di “liberarsi dalle convinzioni, dalle pose e dalle posizioni”.
Una delle caratteristiche che colpiscono immediatamente in questo lavoro è infatti la facoltà di rovesciare in continuazione i presupposti da cui parte. Ai limiti dell’essere, come si dice, “bastian contrario”, Ferrarini mette in atto una vera e propria sovversione continua dei punti di vista, ogni volta rispetto al tema di cui si tratta.
Ma se a un primo sguardo questa può sembrare una semplice provocazione, anche vagamente (o a volte testardamente) irritante o gigionesca, a ben guardare questo “meccanismo” contiene qualcosa di prezioso e profondamente intelligente. È un gioco da cogliere, e da cui lasciarsi tentare, se si vogliono vedere i frutti.
Postulato 3: Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate
Dimostrazione: Nel suo complesso questa mostra è nata infatti da un vero e proprio work in progress che ha appassionato in prima persona soprattutto me, l’artista, ma anche il gallerista e le altre persone coinvolte. Il percorso che è stato intrapreso ha però portato, spero, a concepire e realizzare nella totalità dell’operazione un lavoro originale e genuino, in cui io sicuramente ho creduto con partecipazione.
Il lavoro, intensissimo, al momento in cui scrivo non è ancora terminato. La genesi è stata lunga e a volte tormentata, tra divertimento, battibecchi, tensioni e momenti di sintonia. Non si può dire che ci siamo fatti mancare nulla!
Alla fine, ciò che come curatrice vorrei arrivasse al pubblico è l’esperienza dell’arte e della pittura, che qui è dominante e non sente ragioni. Soprattutto non strizza l’occhio alle mode e alle tendenze.
Qui tutto è semplice, ma nel senso più alto e migliore del termine. Bisogna solo farsi prendere, suggestionare, guidare, provocare. Tolti dalla testa tutti i paletti, le idee preconfezionate e prefabbricate della cultura dominante, l’energia incomincia a scorrere, e non ci resta da fare altro che lasciarci sorprendere e onestamente stare a guardare che cosa (ci) succede.
Così, in questa personalissima “selva oscura” di dantesca memoria, siamo condotti in un goliardico regno a metà strada tra inferno e paradiso, dove la soglia tra buono e cattivo, bene e male, giudizio e pregiudizio, si sposta beffardamente in continuazione. Ad indicare che non c’è altro modo di stare al mondo se non diventando capaci di cambiare spesso e volentieri punto di vista e prospettiva: con intelligenza e senza resistenze. Chissà che, lasciandoci trascinare, non ci sorprendiamo a scoprire di noi stessi qualcosa di insospettabile, liberatorio, o forse semplicemente umano, per quanto poco consono alla maschera sociale a cui siamo così tanto affezionati.
Perciò, lasciate ogni speranza, o voi che entrate… O almeno, lasciate perdere le speranze che avevate prima. E buona vita a tutti.
Maria Cristina Strati
(NB: Ho costruito la struttura del testo che segue facendo il verso all’Etica di Spinoza. Perché? Perché non c’entra niente, anzi, proprio per questo… Pronti? Via!)
Mostra personale di Simone Ferrarini, a cura di Maria Cristina Strati,
dimostrata more geometrico con un testo diviso in tre parti, in cui si tratta di:
“I BUONI E I CATTIVI. Non tutto è come sembra”
Postulato 1: Non tutto è come sembra
Dimostrazione: Sapete chi è Marcello Micheluzzi? Non fate finta di conoscerlo, come si fa alle inaugurazioni con i nomi degli artisti più cool appena scoperti da Saatchi o da Jeffrey Deitch e di cui nessuno ha mai sentito parlare (ma guai ad ammetterlo!). Marcello Micheluzzi è un personaggio semi sconosciuto, un italiano qualunque, vissuto negli anni venti del secolo scorso e che passò alla storia per due ragioni diverse e tra loro opposte, almeno dal punto di vista “morale”.
La prima ragione per cui qualcuno si ricorda di Marcello è per una sua foto segnaletica, scattatagli dalla polizia in virtù della sua allora fiorente attività di rapinatore di banche. L’altra ragione, e questa è divertente, è che Marcello Micheluzzi non fu solo un noto bandito dell’epoca, ma anche un inventore riconosciuto. Certo, non scoprì il vaccino per la tubercolosi o l’aria condizionata o altro, non fu così grande, ma è effettivamente ricordato nella storia come l’inventore della sega circolare.
Bene, non state leggendo in anteprima la trama del prossimo film di Woody Allen.
Questa è una mostra di pittura, pensata e realizzata con l’intenzione di mettere allegramente in crisi (noi speriamo in un modo proficuo) alcuni modi di pensare diffusi, socialmente accettabili e convenienti.
In altre parole, per scrivere un bel punto interrogativo davanti, o meglio dietro a tutte le idee preconcette che fanno giudicare in fretta e comodamente, magari ricorrendo a cliché e luoghi comuni frusti e stereotipati, tanto per sistemare la coscienza e non rischiare di mettere in gioco noi stessi, la nostra immagine e le idee a cui siamo affezionati. E forse anche per rendere la vita un po’ più monotona e meno interessante.
La mostra si compone di una serie di tele di grandi dimensioni (1,60x3 m), appese al soffitto in modo da creare un vero e proprio percorso, che parte dalla pittura e ci passa fisicamente attraverso: da alcuni grandissimi della storia dell’arte e della musica rock ai miti del cinema, fino santi della tradizione, passando per Yoko Ono, i Beatles e molti altri. Da una parte i buoni, dall’altra i cattivi, alcuni su sfondo scuro, altri che campeggiano su tele chiare e luminose.
Ma chi è buono e chi è cattivo? Attenzione, non tutto è come sembra.
Postulato 2: La pittura non è fatta per decorare gli appartamenti
Dimostrazione: Nel contesto di questa mostra, ci sono alcune cose da tenere a mente. La più importante è che il lavoro di Ferrarini dà il suo meglio quando può essere essenzialmente libero, diretto, onesto e sporco quanto basta. È un’azione artistica che coinvolge apertamente le persone, lo spazio e le cose, e a cui non manca di certo il carattere e la personalità. Non è un lavoro che ha tanto da fare con le parole, è piuttosto qualcosa da vedere, o forse soprattutto da vivere e da percepire.
Questa è “solo” pittura: non aspettatevi altro. Ma non è una pittura da salotto. E fate (di nuovo) attenzione perché, come diceva Picasso “la pittura non è fatta per decorare gli appartamenti. È uno strumento di guerra offensiva e difensiva contro il nemico”.
Di che guerra stiamo parlando? Tante battaglie e nessuna o, se volete, tutte, tutte quelle giuste e per cui vale la pena spendersi, probabilmente.
Ma se qui di guerra si tratta, è però soprattutto nel senso (come dice Morgan in una canzone, permettetemi la citazione da “italiana media”) di “liberarsi dalle convinzioni, dalle pose e dalle posizioni”.
Una delle caratteristiche che colpiscono immediatamente in questo lavoro è infatti la facoltà di rovesciare in continuazione i presupposti da cui parte. Ai limiti dell’essere, come si dice, “bastian contrario”, Ferrarini mette in atto una vera e propria sovversione continua dei punti di vista, ogni volta rispetto al tema di cui si tratta.
Ma se a un primo sguardo questa può sembrare una semplice provocazione, anche vagamente (o a volte testardamente) irritante o gigionesca, a ben guardare questo “meccanismo” contiene qualcosa di prezioso e profondamente intelligente. È un gioco da cogliere, e da cui lasciarsi tentare, se si vogliono vedere i frutti.
Postulato 3: Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate
Dimostrazione: Nel suo complesso questa mostra è nata infatti da un vero e proprio work in progress che ha appassionato in prima persona soprattutto me, l’artista, ma anche il gallerista e le altre persone coinvolte. Il percorso che è stato intrapreso ha però portato, spero, a concepire e realizzare nella totalità dell’operazione un lavoro originale e genuino, in cui io sicuramente ho creduto con partecipazione.
Il lavoro, intensissimo, al momento in cui scrivo non è ancora terminato. La genesi è stata lunga e a volte tormentata, tra divertimento, battibecchi, tensioni e momenti di sintonia. Non si può dire che ci siamo fatti mancare nulla!
Alla fine, ciò che come curatrice vorrei arrivasse al pubblico è l’esperienza dell’arte e della pittura, che qui è dominante e non sente ragioni. Soprattutto non strizza l’occhio alle mode e alle tendenze.
Qui tutto è semplice, ma nel senso più alto e migliore del termine. Bisogna solo farsi prendere, suggestionare, guidare, provocare. Tolti dalla testa tutti i paletti, le idee preconfezionate e prefabbricate della cultura dominante, l’energia incomincia a scorrere, e non ci resta da fare altro che lasciarci sorprendere e onestamente stare a guardare che cosa (ci) succede.
Così, in questa personalissima “selva oscura” di dantesca memoria, siamo condotti in un goliardico regno a metà strada tra inferno e paradiso, dove la soglia tra buono e cattivo, bene e male, giudizio e pregiudizio, si sposta beffardamente in continuazione. Ad indicare che non c’è altro modo di stare al mondo se non diventando capaci di cambiare spesso e volentieri punto di vista e prospettiva: con intelligenza e senza resistenze. Chissà che, lasciandoci trascinare, non ci sorprendiamo a scoprire di noi stessi qualcosa di insospettabile, liberatorio, o forse semplicemente umano, per quanto poco consono alla maschera sociale a cui siamo così tanto affezionati.
Perciò, lasciate ogni speranza, o voi che entrate… O almeno, lasciate perdere le speranze che avevate prima. E buona vita a tutti.
Maria Cristina Strati