Nuova favola, tra il visionario e il simbolico. Disegni di Dario Molinaro

Premessa! hei, vedo che questa pagina è davvero molto letta, ma la favola è un po' vecchia, mi ci riconosco solo in parte... Se sei un lettore interessato alle mie favole cerca ancora nel blog, ne trovi altre! Ciao :)


M. e L'ACQUA RACCONTANTE

Disegni di Dario Molinaro
Favola di Maria Cristina Strati



1. Del ruscello, dell’acqua incantata e anche di M.


C’è un bosco incantato e un ruscello da trovare e da riportare alla vita. Non è un ruscello normale, non è solo acqua fresca che serve a dissetare e a giocare. Il ruscello che sgorga da quella sorgente, nel bel mezzo del bosco incantato, racconta le storie della gente, alla gente, per la gente. Le sue parole fresche e saltellanti, creano tintinnando la vita di un piccolo mondo di fiaba.

Perciò le storie raccontate da questo particolare ruscello non si ripetono mai, non ce n’è mai una uguale all’altra. E non sono per forza sempre storie serene e tranquille, fatte di zucchero e miele, solo per palati dolci. Sono storie a volte terribili e dure come gli spigoli aguzzi di roccia che il ruscello incontra nel suo percorso.

Tutto in lui racconta e scorre, senza interruzioni, finché il ruscello non scende a valle e si trasforma nel fiume. Si chiama Fiume di Cristallo, perché è proprio fatto di cristallo nel suo delicatissimo fondo trasparente: attraverso ti sembra di vedere il mondo diverso da quello che è.

Come il ruscello racconta, il fiume, nel suo letto splendente, culla le parole e le storie della gente comune, conducendole a incontrare ancora altre storie e altri racconti, fino al mare. Così, come in un’opera di Mozart, tante storie cantano nello stesso tempo, si sovrappongono, si intrecciano senza mai diventare chiasso. E mentre le storie si intrecciano nell’acqua che corre, tra le piccole increspature dell’acqua puoi vedere una bellissima trama di strade, decisioni e percorsi, dove ci sono lampi che chiariscono il cammino e ombre davvero scure, e tutto brulica di vita, di morte e di forme.

L’acqua incantata arriva poi attraverso speciali acquedotti dentro le case della gente del paese posto in fondo alla valle, oltre il confine del bosco incantato. Lì l’acqua magica racconta e ascolta, raccoglie le storie e poi scivola via, per ritornare al fiume e correre al mare.

Qualche giorno fa però qualcosa è successo. Il fiume ha arrestato il suo corso. Ad un certo punto l’acqua melodiosa e raccontante ha cominciato ad esaurirsi e nessuno sa bene perché. Già da qualche giorno aveva cominciato a diminuire, ma solo un po’, e la gente non ci aveva fatto davvero caso. Molti hanno pensato che quel suo ridursi fosse normale, per via dell’estate e delle poche piogge. Però poi la cosa è diventata più grave, e ora dell’acqua raccontante non resta che un timido mormorio e uno sciacquettìo senza senso. Insomma, l’acqua si è fatta sempre più silenziosa, schiva e assorta, come fosse rapita nei suoi pensieri e non avesse più voglia di raccontare nulla. Finché, bum, a un certo punto nelle case quell’acqua non è arrivata più. La fonte si è esaurita, e laggiù nel bosco incantato qualcosa dev’essere successo.

Ora, nonostante sia estate, l’assenza dell’acqua raccontate rende più fredde le giornate. Invece del caldo senti arrivare un inverno fuori tempo, di un grigio spento, tetro e indifferente. E nell’inverno fuori luogo e fuori tempo, senza veri racconti, senza storie da narrare, non ci sono nemmeno più colori per disegnare il mondo.

Tanto che la gente a poco a poco si sta dimenticando di avere sete di acqua che non sia altro che acqua: così si bevono tutto quello che gli propina la tv, non ricordano più dell’acqua raccontante, del fiume di cristallo e di tutti i colori. Meglio non raccontare la propria storia e vivere senza sapere nulla, arrivano a pensare.

Così nel paese abitano ormai soltanto personaggi che non sanno bene che cosa fare tutto il giorno, perché nessuno di loro ha una storia o qualcosa da dire. Stanno là e basta. Mangiano, dormono, consumano cose e persone, oppure fumano e bevono, cercando là dentro qualche tipo di incanto. Poi, stanchi per troppo non aver vissuto, vanno a dormire, per alzarsi il giorno dopo sempre più noiosi. Perché senza l’acqua raccontante e viva che sgorga dal ruscello incantato nessuna storia può più essere letta, cantata, ascoltata o immaginata e la vita scorre via anonima, come un brutto sogno sempre uguale.

Il fatto è che però le storie non possono mai davvero scomparire dal mondo. Forse a volte sembra, ma non è. Non esiste un mondo senza storie, e non può esistere. Questo pensa M., mentre osserva il suo mondo intorno a sé spegnersi e diventare grigio.

M. è una donna che vive nel paese dove prima scorreva l’acqua raccontante, a pochi passi dal bosco incantato. Non è una persona speciale, è solo una che ama le storie a cui piace raccontarle e sentirle raccontare.
Ma a M. tutto questo non sta bene per niente: tutta la faccenda dell’acqua che non scorre più e della vita sempre uguale e senza un senso.
Probabilmente M. non è l’unica a sentire la mancanza delle storie e dell’acqua raccontante. Però in questa storia, a quanto ci risulta, è lei a decidere di andare a cercare quella fonte.
Così oggi si alza, si veste e senza dire nulla a nessuno prende da sola la strada del bosco incantato, alla ricerca del luogo da cui parte il ruscello magico.




2. Il bosco incantato e Fruttonio Mangiavita


M. non è più una ragazzina. Se lo fosse forse potrebbe correre più veloce e arrivare prima. Ma il suo essere adulta qui l’aiuta. Ha abbastanza esperienza per capire l’importanza dell’acqua raccontante, e della vita che quella fonte fa scorrere nelle vene di tutto il suo mondo. Così oggi parte. Porta con sé poche cose che le sono venute in mente: una borraccia con acqua normale per la sete, un pettine per tenere a posto i capelli, e un paio di sandali di ricambio, nel caso che la strada si facesse troppo lunga e impervia e le vecchie scarpe iniziassero a farle male ai piedi.

M. parte, cammina e cammina, arriva dopo la città, fino al bosco incantato, e ci entra.
Lì si accorge che la terra si fa via via più arida e sabbiosa. Tutto è noiosamente senza vita, e camminare in un luogo secco e inaridito è molto stancante, viene voglia di tornare indietro e lasciar perdere tutto o almeno riposarsi un po’.

Allora M. si ferma per riposarsi ai piedi di un albero che le pare abbastanza comodo e robusto, che prima di quella siccità doveva essere stato bello e frondoso.
A quel gesto di M. l’albero, che è incantato ovviamente pure lui, è tutto contento, tanto da ritornare verde nelle sue fronde, persino con qualche bel frutto. Allunga i suoi rami fioriti sulla testa di M. che subito, a quel contatto, prova un senso di ristoro e pace.

– Ciao! Sono l’albero Fruttonio Mangiavita! Benvenuta sotto le mie fronde! Ultimamente non viene mai nessuno a stare con me e io sentivo tanto bisogno di vita e di compagnia! Resta con me, ti regalerò i miei frutti e sarai sempre felice! L’albero porge a M. un ramo con un frutto e lei lo assaggia. È dolce e il gusto è abbastanza piacevole, ma mentre mangia M. comincia a sentire sonno e tanta voglia di dormire.

Se M. si fosse ricordata di qualche vecchia storia, da Biancaneve in giù, avrebbe fatto più attenzione prima di addentare un frutto in un bosco incantato. Perché ovviamente si tratta di un frutto magico, che stordisce, di quelli fatti apposta per fermare il cammino di chi ha un’impresa da compiere. Fruttonio glielo ha dato proprio per fermarla, per farla rimanere lì, vicino a lui senza andare via mai più. L’albero però non capisce che, se M. restasse lì, la situazione non migliorerebbe affatto: M. non farebbe che seccare e spegnersi, fino a consumare tutta la vita in lei e morire, e Fruttonio non avrebbe con ciò concluso molto.
Ma ora né M. né Fruttonio hanno ancora pensato queste cose.

M. continua ignara a dare morsi al frutto succoso e ostile. Si sente sempre più intontita. È ancora sveglia, e non sa nemmeno più se le piace o no essere cullata dai rami di quell’albero, che la cingono come braccia troppo strette. Le minuscole dita di rametti giungono fin dentro le tasche dei suoi jeans, tirando fuori il pettine che lei si è portata con sé, e iniziano a pettinarla, cercando con finte attenzioni di portarle via ogni pensiero.

A questo punto però finalmente M. inizia ad accorgersi di qualcosa. È sempre meno sicura di potersi fidare di quell’abbraccio, e ora che sente i rametti più piccoli come minuscole dita fastidiose stringerla fino a toglierle il respiro e impedirle i movimenti, ha anche paura.

E ha ragione, perché un attimo dopo, l’albero magico allunga e piega così tanto e così bene le sue fronde, da ghermirla tutta e legarla a sé, immobilizzandola.
- Lasciami! Grida M., ma l’albero non ne ha davvero intenzione, anzi la stringe sempre di più con le sue fronde. M. si ribella: è ancora abbastanza forte, nonostante il frutto velenoso e la stretta. Così si agita e strepita fino a fare allentare la presa dell’albero, e a strappargli via un ramo anche piuttosto lungo e tornito. –Ahia! Strilla l’albero, facendo un salto indietro con tutte le radici o quasi.

È un attimo e M. si libera completamente dalla stretta delle fronde, si alza e corre via, nonostante il sonno e lo stordimento. L’albero è furioso e tira rami e frutti dietro a M. che fugge. Senza più M., Fruttonio torna rapidamente secco e privo di vita, mentre impreca insulti nel vuoto, tenendo stretto il pettine di M. in mezzo ai denti. Ma quali denti? Era un albero, mica aveva i denti. Ma siamo in un bosco incantato, quindi sì.

Così M. scappa via veloce, a dispetto dello stordimento e della stanchezza. Frutti e foglie tirate via dall’albero le sono rimasti tra i capelli, sui vestiti e sulla pelle, e poi ha sonno ed è molto stanca a causa del frutto magico che ha mangiato. Però l’aria fresca del bosco incantato le fa bene e dopo un po’, M. si riprende.




3. Gli Inutilus


M. cammina ancora e ancora. Ad un certo punto, da lontano, vede qualcosa brillare e sente un rumore un po’ strambo. Una specie di tictic e tactac un po’ assillante e un po’ trillante e anche un pochino insistente. Però continuo ed insistente, fastidioso come un telefono a cui non si vuol rispondere o un antifurto inutile e molesto in mezzo a un’estate di città.

M. si avvicina, guarda meglio. Ciò che brilla in mezzo al bosco è il letto del Fiume di Cristallo. Senza acqua raccontante sgorgata dal ruscello, è vero, ma sempre delicatissimo e brillante. Il rumore invece proviene dal becchettare di quattro strani uccelli viola e grigi, con il becco lungo e qualche penna rossa che spunta in cima alla coda.

Come i più esperti entomologi trai lettori avranno già capito, si tratta di rari esempi di Inutilus Obsessivus, una specie di uccelletti un po’ inutili e cretinetti che abita spesso e volentieri boschi incantati, teste vuote e animi in pena. Questi esemplari in particolare sembrano qui tutti impegnati a ferire col becco il fondo del fiume, infrangendo e incrinandolo dovunque.

– Ma no! Che fate! Dice M. - Così rovinate tutto e l’acqua non potrà passare più! – Noi becchettiamo quanto ci pare! Rispondono gli uccellini - Perché siamo inutili e non sappiamo che cosa fare se non cose del tutto inutili e anche un po’ sceme! – Ma già, bel modo di impiegare il tempo! Così rovinerete tutto il letto del fiume!
Un Inutilus allora smette di beccare il fondo del fiume, le si avvicina e la guarda da sotto in su. Il suo sguardo indugia un pochino sulle scarpe di M., tanto da farle temere che l’uccellino stia meditando di aggredirle il piede – Senti, dice invece l’Inutilus - dacci qualcosa di meglio da fare e noi smettiamo di rompere il fondo del fiume! Per esempio, regalaci i tuoi sandali nuovi!

M. con una smorfia si tira indietro – Ma mi servono perché non so se dovrò camminare tutta la notte per trovare la fonte del ruscello! – Non ce ne può fregare di meno! Dacci i sandali o noi continuiamo… e poi anche se trovi la fonte e la guarisci, sarà tutto inutile, proprio come noi. E così dicendo l’Inutilus raggiunge saltellando i suoi compagni, che intanto stavano ridacchiando e spettegolando tra loro, compiaciuti, e fa per riprendere a tormentare il fondo cristallino.
- No! Aspetta! Dice M.
E così M. lascia agli Inutilus i suoi sandali nuovi. I quattro naturalmente cominciano subito a becchettarsi a vicenda, ognuno volendole tutte e due per sé, e così facendo volano via, come sempre indecisi e polemici.




4. Senza scarpe


Ora M. si trova con i capelli pieni di foglie e ai piedi un paio di scarpe che cominciano a farle male. Però cammina lo stesso e va avanti passo dopo passo sul letto del fiume, risalendo quella che una volta era stata la corrente.

-Grazie! Dice allora una voce, - neanche a farlo apposta - cristallina. M. non sa da dove venga quella voce. Trovandosi però in un bosco incantato non si stupisce più di tanto e chiede: - Ma chi sei? - Sono il letto del fiume di cristallo! Tu mi hai salvato dagli Inutilus dispettosi, e io voglio farti un regalo. Prendi un pezzetto del mio cristallo e portalo con te, ti sarà d’aiuto! – Grazie! Disse M. tutta contenta: finalmente qualcuno le regala qualcosa e non chiede nulla in cambio. – Solo, devo chiederti un favore! Aggiunge il cristallo – Ah ecco, mi pareva! pensa M. ma fa buon viso a cattivo gioco e dice – Dimmi! - è che stai camminando sul mio corpo con quelle scarpe vecchie, che mi fanno male e mi incrinano … togliti le scarpe e lasciale a me! Andrai più veloce!

Così M. lascia le sue scarpe, che magicamente sono inghiottite nel cristallo e spariscono giù nel nulla. Mentre cammina ora i piedi le fanno un po’ male.
Intanto fa anche buio e fa paura. Però M. non si arrende e continua ad andare avanti, finché non arriva alla fonte.

Solo quando arriva là M. è contenta e si ferma a riposare i piedi scalzi e stanchi, che per il cristallo incrinato ora sanguinano anche un po’. Ora M. si sdraia sulla terra, stringendo a sé la borraccia con l’acqua non raccontante, che aveva portato con sé per placarsi la sete, e poi si mette a dormire.
Passa qualche ora. M. si sveglia che ancora non è l’alba, con un sussulto. Si è sentita toccare da qualcuno.

Una mano, infatti, le sta sfiorando la spalla, cercando di svegliarla mormorando parole gentili. M. apre gli occhi e fa un salto indietro. A chiamarla è un donna bruttissima e vecchia, tutta sporca, grassa e spettinata. – Chi sei? Che cosa vuoi? Chiede M. un po’ spaventata. La donna sorride, con i soli due denti che gli anni le hanno lasciato in bocca, e dice – Bella signora, dammi da bere, qui non c’è più acqua e ho visto che hai una borraccia con te!

M. la guarda. Davvero è molto brutta e fa anche un po’paura, ma una vocina dentro le dice di avere pietà per quella donna che ha sete. Così M. rinuncia all’acqua e gliela porge. La donna bruttissima ringrazia commossa e poi se ne va, camminando nel bosco verso chissà dove.

Adesso comincia ad albeggiare. M. si guarda intorno. C’è una bella luce rosa di alba, e qualche nuvola.

Ora nella luce rosa c’è anche un rumore. Tin. Ancora. Tintin. Splash. M. guarda in alto, il cielo sopra la sua testa, sporge la mano e se la guarda. Sopra la sua pelle c’è un bella goccia d’acqua, tutta rotonda. E sembra che muoia dalla voglia di raccontare una storia. M. sorride. Poi arriva un’altra goccia, e un’altra ancora. Sta piovendo. È un attimo e la pioggia diventa scrosciante.

Sotto l’acquazzone che lava tutto e nutre la fonte, M., con i vestiti già tutti bagnati, tira fuori dalla tasca dei jeans il pezzetto di cristallo donatole dal letto del fiume e lo pone alla fonte del ruscello incantato. Allora l’acqua del ruscello comincia a zampillare, prima timidamente, poi sempre più coraggiosa e piena.

Così tutto torna a rifiorire e le storie tornano a raccontare, le parole tornano a correre scivolando via verso le loro destinazioni, piacevolmente rumorose e concentrate nei loro racconti.

Sono storie allegre e fertili come la terra seminata d’estate, come le mani che vogliono conoscere o le orecchie che si mettono ad ascoltare. O come gli occhi di quelli che leggono una storia nuova e poi decidono di continuare a sognare il cambiamento che sta per arrivare.


(courtesy: per le immagini Dario Molinaro, per il testo Maria Cristina Strati)