A cura di…? C’è un bug nel sistema

Lettera a un artista (abbastanza) giovane

Quello che segue è un breve racconto in forma epistolare, diciamo così...

Caro Simone,
mi chiedi, anzi, ti chiedi, come mai ieri ti chiamavano tutti e oggi, artista trentacinquenne, con un lavoro molto più maturo, fai più fatica a vedere girare i tuoi lavori.

Mi è venuta voglia di raccontarti una storia. Retroscena (o retroscema??) della vita di un critico medio. E dire medio, è dire tutto.

Eccomi qui. Vedi, in questi giorni sto cercando dentro di me di analizzare un po' come funzionano le cose. Mi accorgo che nel modo in cui di solito si fa il critico qualcosa non va. Forse quello che penso, il modo in cui analizzo il fare critica o curatela, ti dice anche qualcosa sul come vanno le carriere degli artisti. Poi dimmi che ne pensi.

In sostanza io mi sto un po' scocciando del modo in cui si fa curatela di solito, e allora rifletto, analizzo e cerco una soluzione. Il fatto è che le cose funzionano più o meno sempre così. Cioè male.

Facciamo un esempio. Mettiamo il caso che tu, Simone, voglia oggi diventare un critico.




Chissà perché ti viene questa idea balzana. Forse volevi fare l’artista e ti sei iscritto all’Accademia. E lì hai cominciato a divertirti un sacco, mentre guardavi dall’alto in basso quei poveri cristi dei tuoi ex compagni del liceo costretti dalla vita dura a studiare ingegneria, o anche lettere. O peggio, a mettersi a lavorare perché i genitori non potevano mantenerli agli studi, che anime vuote. Che cosa vuoi che capiscano loro della vita? Tu sei un artista, tu capisci il mondo, tu fai il futuro. Tu però nel tempo ti sei anche accorto che la tua fidanzata, che hai conosciuto al corso di pittura, è molto più brava di te e tu non hai nemmeno un’idea lontana per fare un solo lavoro che abbia un senso. C’è un solo modo per uscire dall’imbarazzo, ed è quello di cambiare mestiere. Andare a lavorare?? Stiamo scherzando??! No naturalmente. Farai il curatore. Così adesso potrai giudicare saccente i lavori di quelli che fino a ieri invidiavi perché avevano idee migliori delle tue. Che animo nobile.

Ma ci sono anche altri modi per arrivare a decidere di fare il critico. Magari sei un laureato in lettere, o comunque in qualche materia umanistica e l’idea di fare mostre ti sorride. Lavoro autonomo, fama, cultura a go go. Fantastico. È deciso.
E così ti butti a capofitto nell’artworld. Sempre meglio che lavorare.

All'inizio ti affacci al mondo dell'arte un po' spaurito, ti sembrano tutti dei geni che fanno un mucchio di mostre e vuoi iniziare anche tu. Ma sarai all’altezza? Così ti proponi, oppure ti propongono qualcosa. Di solito è qualcosa di non retribuito, ma tu che fai? dici di no? Oppure è pagato poco, ma tu ti fai due conti e dici: sono solo all'inizio, non posso chiedere molto, intanto faccio esperienza e ho visibilità. Così accetti.


Fare una mostra. Che cosa vuol dire? Pensi: chiamo degli artisti. Magari i miei amici, oppure quelli bravi che ho conosciuto. Anzi, ora inizio a cercarne di nuovi, in modo da farmi notare nel mio lavoro. Meglio se trovo uno proprio bravo, che poi lo chiamano anche gli altri, ma io l'ho chiamato per primo. Sarai gentile, farai amicizia con loro. Loro faranno amicizia con te. Finché sarà utile, sarete indivisibili.

Potresti trovarti a dare consigli a un sicuro genio dell’arte futura, che si rivolge a te in preda all’ansia perché non vuole ammettere con mammina di aver di nuovo mangiato le cozze, su come liberarsi da un fastidioso attacco di colite. Pazienza. Sono gli incerti del mestiere. Però sicuramente quando sarà famoso lui si ricorderà di te. Sarete famosi insieme. Sì certo, SE sarà famoso. E se si ricorderà. (Le cozze? Quali cozze? Va bè.)




Comunque, c'è anche un'altra opzione, puoi anche non chiamare artisti alle prime armi. E siccome quelli affermati non ti vedono nemmeno se stanno attraversando l’incrocio con il suv mentre tu passi con il semaforo verde, sventolando la tua laurea di secondo livello in sociologia comparata dell’arte filosofica contemporanea ecc ecc, non ti restano che gli altri.

Gli altri sono quelli che chiamano gli Sfigati, quelli che li chiamavano venti anni fa e ora non li vuole più nessuno. Nessuno li chiama e tu li "riscopri". Atto di inutile ripetizione sfasata nel tempo. Ma come si dice, chi si somiglia si piglia, quindi io agli sfigati magari direi di no.

In ogni modo finisce che organizzi la tua prima mostra, o la tua prima serie di mostre. Cominci a scrivere testi altisonanti, dove citi libri di cui hai appena scorso le pagine come se li avessi studiati ma chissenefrega tanto nessuno li capisce, nemmeno tu. Che nessuno legga i tuoi testi in fondo non importa, tanto non capirebbero il tuo animo profondo e la tua raffinata teoria. In ogni modo che nessuno, o quasi, legge lo scoprirai soltanto molto dopo, sempre che la cosa sia poi fondamentale. Non lo è più della dicitura “a cura di” e della firma in neretto al fondo pagina, hai visto mai. Lorem ipsum… sarebbe lo stesso.

Ma oggi non è così, non ancora. Ora la vita ti sorride.



Immagina quelle scene dei film anni quaranta in bianco e nero, tipo Orson Welles, quando qualcuno diventa famoso o succede qualcosa di eclatante: la scena successiva sono titoli di giornale, uno dopo l'altro, che girano su se stessi per poi finire inquadrati in primo piano, e una musica sensazionale di sottofondo. Dovunque l'unica, magica, scritta: A CURA DI...

E tu già ti vedi alle inaugurazioni, con la sigaretta a mezza bocca come Humphrey Bogart, oppure senza, ma comunque con il fare ardito dell’intellettuale di grido: il look meglio se eccentrico, lo sguardo finalmente libero di mostrarsi in tutta la sua saccenza e simpatica presunzione. E' fatta, adesso sei un curatore. O almeno tu ne sei convinto.



Seguono altre mostre. Già, ma come? I casi sono due. Mentre ti penzola la sigaretta dalla bocca e ti aggiri tra bicchieri, tartine e opere alle inaugurazioni più trendy del tuo giro con l'aria di chi la sa davvero molto lunga, inizi a mettere in atto una simpatica quanto utile dinamica sociale.

(Ora immagina musica di Quark in sottofondo durante la descrizione).

Il tono con gli artisti e gli altri visitatori di mostre si mantiene affabile, amichevole, mai del tutto privo però di una doverosa attenzione alle dinamiche di comportamento di tutti con tutti.

Con i collezionisti, galleristi, ma soprattutto con i potenti che ti possono tornare utili (vedi: professori universitari, assessori e politici, insomma, in generale tutti quelli che hanno i contatti “che contano”) ti trasformerai invece in un simpatico gattino pronto a soddisfare ogni richiesta. Occhio, devi sempre però far sì che loro non se ne accorgano. Loro devono credere di esserti DAVVERO simpatici. Questo è il vero lavoro. Spesso, un’impresa. Sarà inutile specificare che la tua disponibilità non ha e non deve avere limiti.

Se ora sei l’assistente di un critico importante e hai raggiunto questa fase, oppure se ti sei fidanzato con qualcuno “che conta”, che più o meno fa lo stesso, devi iniziare a fare più cose (nota bene: fare cose. Ma fare cosa?). E ci riesci. I contatti ci sono, ce la fai.

Prima sul locale possibilmente, cioè nella tua città. Contando sui contatti utili. Certo, sei ancora all’inizio, ma i soldi cominciano ad arrivare. Pochi, paghe basse, non sempre, certo, ma è solo l’inizio. Ma l’inizio di che?



Ora devi fare mostre. Trovare, per primo, talenti. Quindi li cerchi e li trovi. Uno, gli fai fare due o tre mostre, poi un altro, anche qui due o tre mostre e via, poi un altro. Poi una collettiva, due. Sei lanciato.

Le mostre che tu e i tuoi colleghi fate sembrano dei collages. L’artista a e l’artista b con c e con d. La doppia personale di a e d. A con c, ma senza b. E alle inaugurazioni ci siete sempre tutti, tu, i colleghi, a, b, c, d… tutto l’alfabeto.

Passa qualche anno. Hai guadagnato fama, rispetto (e pure qualche chilo, a forza di bicchierini ai vari opening alfanumerici).

Meglio, diciamo: hai guadagnato un nome. Sì, ORA hai un nome. Tu pensavi di avercelo anche prima, e invece no. Ricordavi l’appello alle medie? Quando la professoressa scorreva con la matita l’elenco degli allievi e tu facevi finta di guardare per terra perché non ti chiamasse e non dicesse il tuo NOME. Ecco, no, adesso hai un nome, prima no. Ora non sei ancora qualcuno, ma sei… UN NOME.

Scrivi anche per due o tre riviste importanti. È vero, non ti pagano, ma si sa, in Italia le riviste non pagano. Dal salumiere l’altro giorno hai portato la recegallery di Artribune, che anche stampata fa comunque figo, però lui il prosciutto non te l’ha voluto dare lo stesso. Ti presentava lo scontrino fiscale con un’espressione quasi minacciosa. Sei uscito senza prosciutto. Vai a capire la gente.

Comunque vada, tu fai le tue mostre. Passa ancora il tempo.



E poi c’è un momento che è venuto il tuo momento: ti senti pronto, e alzi il tiro. La prossima mostra che proponi, o che ti propongono, fai valere il tuo nome (NOME), gli eventi che hai fatto, l’esperienza, la fatica. E chiedi di più. E da adesso sarà così. Poi musei, collaborazioni e successo. O no?

La risposta del gallerista alla tua richiesta di solito è il biondino neolaureato con lo sguardo spento e il sorrisetto viscido che era seduto alle tue spalle, ma non avevi visto, pronto a scrivere gratis perché è all’inizio e sa di doversi fare le ossa e tu sei già arrivato e sei così bravo e bla bla bla (ah ma io credevo che fosse il cugino di quello lì, ah ma fa il critico anche lui?).

Che fare? Meglio continuare a chiedere meno, o nulla, tanto non si sa. E la (prossima) mostra è ancora tua.

Ok, per farla devi andare a 700 kilometri da casa tua. Ma è giusto, bisogna girare, se no si sta fermi in un posto e poi oggi se non giri un po’... Così quei cinquecento euro, a mostra conclusa, te li accetti. Tanto i colleghi mica lo sanno, a loro non dici niente che credono che tu sia pagato di più, se no i vestiti firmati per le opening dove li avevi presi. (E i colleghi, loro sì che sono pagati di più, credi… loro… per forza dev’essere così. Perché se no i soldi per i vestiti firmati alle opening dove li avrebbero presi? )

Per la mostra sono due o tre viaggi. Per vedere lo spazio, i lavori, allestimento, inaugurazione. Giusto. Per una spesa totale di 475 euro. Ne restano 25. Lorde. Bè. Speriamo che mamma e papà ti aiutino con l’affitto.
Un artista però ti ha dato un lavoro, bello. Se avrai ancora una parete dove appenderlo, sarà fantastico.




L’altro possibile finale della storia è che tu sei ricco, ma molto ricco di tuo. O meglio ancora che tu, ai tempi in cui andavi girando pietosamente ammiccante tra i tavolini dei potenti come la venditrice di sigarette di Radio days di Woody Allen, sia riuscito a sposartene uno o una, o almeno a convivere (però allora facci i figli, è più sicuro). Nel peggiore dei casi ti sei trovato una donna che ti ama ma soprattutto ti sostiene, possibilmente con romantici assegni mensili.
Che questo fosse il vero obiettivo però, se sei un idealista, di solito lo scopri a giochi fatti, quando è già tardino.

Comunque se sei riuscito nell’impresa, sei a cavallo, ci sono buone probabilità di avere cattedre, benefici, altre possibilità di carriera dopo la quarantina. Se non altro il problema dell’affitto è risolto e lavorare gratis non sarà poi così male.

In fondo, lavorare non pagati è anche un modo per sentirsi meno responsabili.

Ora, la domanda che rivolgo a te è: ma che fine hanno fatto gli artisti che hai “scoperto” negli anni più illusi e magari anche felici? Hanno continuato? Li hai seguiti? Li ha seguiti qualcuno? Loro hanno seguito te? Stanno correndo dietro a un altro critico di grido, si sono fatti furbi, hanno accalappiato quello/quella giusta che li campa? Sono diventati davvero famosi (uno o due al massimo) o sono diventati gli Sfigati (tanti…) che nessuno chiama più? E se sono diventati così sarà anche “merito” tuo?



Loro, che fine hanno fatto? Nelle loro vite, nella tua. Dove sono? Varcata la soglia oltre la quale l’artista chiamato “giovane” sorride tra sé, magari passando una carezza di sfuggita sui teneri capelli del suo secondo figlio, direi che la domanda è legittima.

(to be continued...)

Grazie per le immagini e la collaborazione a Simone Ferrarini www.simoneferrarini.it