Un albero con le radici. Da Franco Noero a Torino torna la natura di Henrik Hakannson

Il lavoro di Henrik Hakansson si muove sulla linea sottile che idealmente segna il confine tra natura e cultura. L’artista svedese costruisce le sue opere a partire da elementi naturali che, spesso conservati nelle loro forme e figure, sono trasposti dal loro ecosistema originario all’ambiente espositivo, trasformandosi così in elementi di espressione estetica. L’operazione sortisce il duplice effetto di aprire gli orizzonti poetici dello spazio espositivo e insieme indurre alla riflessione sul mondo naturale e sulla sua osservazione.

Al centro dell’operare artistico di Hakannson è infatti il gesto di portare all’interno dello spazio espositivo ciò che in origine si trova all’esterno, fuori da esso. Tale gesto si rifà a una poetica minimalista, volta a mettere in gioco il nostro modo di relazionarci con l’ambiente naturale.

In tal modo qui la natura diviene modello culturale, pietra di paragone utile a confrontare e verificare le nostre riflessioni sull’arte e sull’estetica.

In linea con questi principi, per la sua quarta personale per Franco Noero, a Torino, Hakannson ha elaborato un progetto di grande intensità poetica, pensato appositamente per lo spazio particolarissimo di Casa Scaccabarozzi, la notissima Fetta di polenta opera dell’Antonelli.

Il progetto porta il titolo A tree with roots (un albero con le radici): e come recita il titolo della mostra Hakansson ha letteralmente posto all’interno dello spazio espositivo un intero albero, dissezionandolo e ricostruendolo all’interno della galleria, lungo la linea verticale degli stretti piani della casa.

Come l’artista sottolinea, si tratta di una quercia una quercia rinvenuta nei dei dintorni di Torino (che quindi appartiene all’ecosistema originario del luogo) e che doveva essere abbattuta. Il fatto di averla rilevata non ha dunque inferto alcun danno all’ambiente naturale, ma l’operazione si è svolta in totale armonia con esso.

L’effetto finale è quello di un albero che fosse cresciuto letteralmente dentro la casa, attraversandola con i suoi rami piano per piano. Al primo piano le radici pendono dal soffitto come se lo stessero penetrando dall’alto; al secondo il tronco e i primi rami si allargano a dare vita naturale all’ambiente architettonico; e via via così, fino all’ultimo piano, dove dal terreno paiono spuntare le più minute e poco colorate foglie della chioma. I visitatori hanno così modo di muoversi fisicamente intorno ai rami, come alle radici. Possono osservare l’albero comodamente da vicino, come difficilmente può accadere in condizioni naturali.

Tuttavia il visitatore mantiene l’impressione che sia la natura stessa a dominare lo spazio architettonico, integrandosi armonicamente con esso, e donandovi nel contempo una sorta di nuova linfa ed energia. L’effetto poetico dell’opera è ancora più intenso alla sera, quando osservando la casa da lontano si ottiene un favoloso effetto di luce. Dai vetri illuminati della galleria è possibile scorgere l’intero albero snodarsi su per l’edificio: si ha allora la sensazione reale che l’albero cresca dentro la casa, come una forza primordiale e naturale che preme dall’interno. Qui la tensione produttiva tra natura e cultura si fa palese e intensissima.

L’immagine dell’albero che idealmente cresce dentro la casa rimanda quasi immediatamente al concetto di architettura organicista di Frank Lloyd Wright, e in particolare alla sua celebre Fallingwater, la casa costruita sulla cascata del 1936.

Tuttavia se per Lloyd Wright l’architettura si sviluppa dall’interno verso l’esterno, in modo essenziale e armonico, per Hakansson vale, come si è accennato, il movimento inverso. Qui la natura è tolta dall’esterno e posta dall’artista, con un atto indiscutibile, all’interno dello spazio espositivo: essa recupera solo in un secondo momento la sua forza originaria, in un gioco di contestualizzazioni e ricontestualizzazioni volto a sottoporre l’elemento naturale al nostro sguardo.

Inoltre A tree with roots è pensato da Hakansson anche e soprattutto in riferimento al preciso contesto storico e culturale torinese in cui esso ha luogo. Nell’opera è infatti impossibile non scorgere un riferimento all’arte povera e in particolare, come dichiara l’artista, al lavoro di Giuseppe Penone. Si ricordino ad esempio il ciclo degli alberi, iniziatosi alla fine degli anni sessanta, fino al Giardino delle sculture sito alla Venaria Reale, o alle sculture di linfa. Com’è noto, la ricerca artistica di Penone ha profondamente a che fare con l’indagine dei processi di crescita naturale, e si snoda sapientemente in una costante tensione di armoniosa, seppure imponente, integrazione con essi.

Il riferimento alla scultura di Penone, dichiarato espressamente dall’artista, si declina per Hakansson nel senso dell’osservazione minuziosa dei fenomeni naturali.

Dell’albero esposto lungo i piani della Fetta di Polenta si può infatti scrutare il lento decadimento: il processo vitale che porta, forse paradossalmente, alla morte; conducendo le foglie a ingiallirsi e cadere, e il terriccio attorno alle radici a trasformarsi in polvere.

Le foglie che cadono a terra vengono allora raccolte teche di plexiglas, e sono così trasformate in un quadro. Anche il terriccio caduto dalle radici, una volta raccolto e conservato teca trasparente, costituisce un’opera a sé. Il procedimento vitale è così osservato da Hakansson nel suo lento progredire verso una inevitabile morte. L’albero diviene così il simbolo della vita stessa e del suo lento declinare.

L’apparente ossimoro tra procedimento vitale e morte in natura, si fa ancora più palese per la seconda opera che compone l’esposizione. Nella piccola sede della galleria in Piazza Santa Giulia, Hakansson espone infatti un Mobile, ispirato alle opere di Alexander Calder. Si tratta di una scultura realizzata con uccellini impagliati e montati su una struttura mobile di ferro. Anche qui l’artista si muove in delicato equilibrio sulla linea di confine che divide l’ambito naturale da quello culturale e artistico: sul crinale scosceso tra la concezione della natura come qualcosa da osservare senza intervenire, oppure a cui ricorrere in maniera dinamica, quale soggetto /oggetto della ricerca artistica ed estetica.

Maria Cristina Strati

Henrik Hakansson, A Tree with Roots, Galleria Franco Noero, Torino, 5 novembre – 22 dicembre 2010


Articolo pubblicato su Juliet, n. 151, febbraio - marzo 2011

Le immagini sono courtesy of Galleria Franco Noero, Torino